Regia di Peter Bogdanovich vedi scheda film
C’era un tempo in cui l’orrore dominava la scena cinematografica grazie alle sue icone incontrastate, il terrore e la paura prendevano forma in opere originali o adattamenti di grandi classici della letteratura, il pubblico si spaventava alla vista di un fantasma, di un ombra indefinita, di una porta che si apriva lentamente verso l’ignoto, era la magia di un cinema che si alimentava di miti e che rendeva omaggio a grandi narratori come Edgar Allan Poe, Lovecraft, Mary Shelley e Bram Stoker.
Targets (Bersagli) esce nel bel mezzo di un radicale cambiamento culturale e sociale, siamo nel ‘68 e anche il cinema si allinea al nuovo che avanza donando nuova linfa vitale all’industria Hollywoodiana e imponendo nuovi codici formali e narrativi, perché l’orrore di un tempo è ormai superato, annientato da un quotidiano vivere che propone drammi che vanno ben oltre le cupe atmosfere di un buon gotico d’annata.
La genesi dell’opera d’esordio di Peter Bogdanovich appare incredibile, come incredibile è il sorprendente risultato finale, lo stesso regista racconta con evidente ironia la nascita di un film che in forma embrionale appariva come una specie di puzzle, dietro al progetto la mente geniale del grande Roger Corman, il regista/produttore/autore e scopritore di talenti (oltre a Bogdanovich, lanciò anche Scorsese, Coppola, Demme e Dante) era capace di costruire un film montando pezzi tagliati da varie pellicole...e in parte fu proprio questo che avvenne con Targets.
“Boris Karloff mi deve un paio di giorni di lavoro, vorrei che girassi 20 minuti con lui in due giorni, io ho girato interi film in due giorni, poi voglio che prendi altri attori e giri per un paio di settimane per avere un altra ora, poi usi venti minuti di materiale con Karloff tratti da un film intitolato “La vergine di cera”.
Quindi...giri 20 minuti con Karloff, 20 minuti da La vergine di cera, aggiungi altri 40 minuti con attori diversi e ottieni un nuovo film di Karloff da 80 minuti...ci stai?”
(Bogdanovich racconta così la proposta di Roger Corman)
Il giovane Bogdanovich non poteva rifiutare, occasioni del genere capitano una sola volta nella vita e quindi accettò quella che sulla carta sembrava un’impresa quasi impossibile, ovvero costruire una storia che avesse un senso logico e magari fosse anche accattivante, utilizzando per pochi giorni il mito di Karloff, spezzoni di un vecchio film, più altro girato da aggiungere a piacimento.
La base del soggetto fu qualcosa di estremamente semplice ma allo stesso tempo illuminante, un racconto meta-cinematografico che sfruttando la caratura di un mito come Karloff lanciava una riflessione profonda sul cinema horror e sulla sua rappresentazione, un impietoso confronto tra i superati orrori vittoriani e la fredda cronaca nera (in questa caso la vicenda del cecchino Charles Whitman, autore della strage di Austin nel ‘66).
Fondamentale fu il contributo nella stesura della sceneggiatura di Samuel Fuller, il regista amico di Bogdanovich riscrisse parte della storia riuscendo ad amalgamare la teoria di Corman in un insieme compatto e clamorosamente brillante.
Byron Orlock (Karloff) è una star di film horror ormai sul viale del tramonto, l’attore se ne rende conto e dopo aver assistito alle immagini del suo ultimo film (che giudica terribile) annuncia il suo ritiro dalle scene, una scelta che getta tutto il suo staff nel panico, a cominciare dal giovane scrittore Sammy Michaels (Bogdanovich) che aveva pronta una nuova storia per l’attore, ma Orlok non vuole sentire ragioni, il suo tempo è ormai finito ed è ora di lasciare spazio ai giovani.
Giovani come Bobby Thompson (Tim O’Kelly), tipico ragazzo americano amante delle armi e della caccia, vive con la moglie nella casa dei suoi genitori ma qualcosa in lui non gira per il verso giusto, la sua ossessione per le armi sembra spingerlo sempre più oltre i limiti, fino a quando non perde completamente la testa e inizia una carneficina.
Targets è un film che lascia un segno profondo nello spettatore, un opera che nasce come b-movie composito, una specie di mostro di Frankenstein assemblato con pezzi di girato al quale Bogdanovich dona “la vita” trasformando materiale “inanimato” in un film solido e tesissimo, esaltato da tematiche scomode e ancora attuali, una pellicola profondamente legata al suo tempo ma che si specchia nel nostro contemporaneo mantenendo immutata tutta la sua carica disturbante.
Ne escono fuori due storie parallele che solo nel finale trovano un punto di incontro, la vicenda dell’attore horror ormai giunto al capolinea, in pratica Boris Karloff interpretava se stesso e morì pochi mesi dopo la fine delle riprese, e quella di un giovane sbandato che una società fuori controllo mette nelle condizioni di uccidere decine di persone innocenti.
Il personaggio di Bobby Thompson è chiaramente costruito sulle fattezze del killer Charles Whitman, tipico ragazzo americano (ottima la scelta di un bravissimo Tim O’Kelly, poi scomparso dalle scene), ex militare, amante delle armi e della famiglia, tutti questi aspetti vengono proposti da Bogdanovich con lucida freddezza generando nello spettatore un inquietudine crescente, il giovane Bobby fa paura più di Dracula perché è un mostro travestito da uomo e la sua follia esplode senza un apparente motivo, una tragedia contemporanea che lascia una lunga scia di sangue e nessuna risposta.
Targets è un film dove la violenza implode in un universo privato, chiuso ermeticamente, sono almeno tre le grandissime sequenze che vanno ricordate, l’uccisione dei famigliari, il tiro al bersaglio dalle cisterne sulle auto in autostrada e il gran finale al drive-in, Bobby nascosto dietro lo schermo dove si proietta La vergine di cera (oltre a Karloff ci recitava un giovanissimo Jack Nicholson) spara sulle auto ferme davanti a lui, e la potenza di un orrore immaginario che viene demolita dalla concretezza del reale, un reale fatto di follia, paura e sangue.
Bogdanovich soddisfatto del risultato restituisce a Corman (che ci guadagnò pure qualcosa) il budget stanziato e vende il suo film alla Paramount, i pezzi grossi dello Studio ne erano entusiasti ma la pellicola alla fine uscì in pochissime sale, in America erano appena stati assassinati Martin Luther King e Bob Kennedy, la Paramount decise che un film come Targets, con la sua violenza esplicita, non era l’ideale in quel momento.
Al botteghino fu naturalmente un fiasco ma le critiche furono quasi tutte entusiaste, i produttori di Easy Rider contattarono Bogdanovich e gli dissero che se aveva un nuovo progetto loro erano pronti a finanziarlo, qualche anno dopo esce L’ultimo Spettacolo il film della definitiva consacrazione.
Targets resta a mio avviso una delle più grandi opere prime mai prodotte, un esordio di valore assoluto che stranamente viene spesso dimenticato, se non è un capolavoro ci va molto vicino.
Voto: 8.5
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Complimenti per il pezzo molto lungo ed esaustivo! Di Bogdanovich ho visto solo L'ultimo spettacolo, mentre di questo film avevo sentito parlare ma non pensavo potesse risultare così interessante! Ho letto che il protagonista interpretato da Karloff si chiama Orlock... ma è una citazione da Nosferatu di Murnau? Il conte nel film del regista tedesco si chiamava Orlock e non Dracula... ed essendo Bogdanovich un critico e cinefilo, penso sia una cosa voluta... ciao!!!
Ciao Stefano, il nome di Orlock credo sia una citazione evidente del Nosferatu di Murnau, Bogdanovich era un cinefilo appassionato e un grande conoscitore di cinema.
Ma in realtà tutto il film è una citazione, a cominciare dall'incipit e dal finale con le scene de La vergine di cera, passando per il copione che Orlock si rifiuta di leggere e che si intuisce racconta una storia molto diversa dai classici horror che ha interpretato in carriera, in pratica quel copione è la storia che vediamo nel film, con la star dei classici di un tempo per la prima volta impegnata in un ruolo positivo.
Targets è un film che propone diverse chiavi di lettura, tra queste è evidente un discorso meta-cinematografico sviluppato in modo brillante e perfettamente inserito nella dimensione drammatica del film.
Ripeto, per me una pellicola da non perdere e un grandissimo esordio per Bogdanovich :)
Ciao!
Ho letto con interesse a dir poco vorace questa recensione, mi capita di rado e con poche, dunque ti ringrazio. Non conosco il film, ma ovviamente ancora per poco, la ragion d'essere di un pezzo critico è rendere la visione assolutamente necessaria, e questo la rende, eccome!
Grazie Paola, aspetto di leggere le tue impressioni :)
In effetti Targets è un film poco conosciuto, o perlomeno poco "pubblicizzato", sembra quasi che la carriera di Bogdanovich sia iniziata con L'ultimo spettacolo (altro grande film), chissà forse la tematica particolarmente violenta e ancora attuale lo ha penalizzato, di certo questo avvenne al tempo della sua uscita nelle sale.
Grazie ancora per le belle parole.
Ciao!
Colpevolmente di questo grande regista americano ho visto solo 'L'ultimo spettacolo', 'What's Up, Doc?' e 'Mask': tre generi decisamente diversi, segno di una grande versatilità e amore per il cinema. Da come ne racconti la genesi, questo patchwork di girato e repertorio da un'idea di Corman, è il gustoso aneddoto di un modo di intendere il cinema in cui più dell'ispirazione contava la grande capacità di questi professionisti (non ultimi fotografia e montaggio ricordati sopra) di presidiare tutti i reparti della produzione cinematografica. Bel pezzo Max, tutt'altro che...facile. Ciao!
Grazie :)
Io di Roger Corman ho letto molto e visto qualche film, pochi a dire il vero (anche perchè la filmografia è imponente), quindi dovrei approfondire, di certo è indiscutibile la sua importanza nel cinema americano, maestro dei b-movie e dell'inventiva, oltre che grande scopritore di talenti.
Ottenere il massimo dal poco che si ha, è una filosofia che dovrebbero applicare tutti i giovani registi di oggi, Corman davvero andrebbe studiato nelle scuole di cinema.
Bogdanovich con questo film sposa in pieno questo tipo di approccio, tanto per dire le scene girate in autostrada (diverse sequenze) non si potevano girare, ma Corman gli disse che niente era illegale quando si faceva un film, gli interni della casa del killer furono disegnati dalla moglie di Bogdanovich (al tempo) e sono gli stessi utilizzati per le scene nell'albergo di Karloff, ridipingi le pareti, sposta qualche mobile...fantasia e grande capacità di adattarsi, un insegnamento prezioso.
Ciao!
un gran bel film,visto tempo fa (ma che ho in possesso),l'hai presentato in modo "divino"....e mi hai fatto venire la voglia di rivederlo....grazie Max.
Grazie ezio!
Grande cinema, a volte non serve avere grandi mezzi, quando si ha talento, stesso discorso per lo Spielberg di Duel.
Ciao Claudio :)
Beh si, in generale sono d'accordo con te anche se va detto che almeno in questo caso fu determinante la produzione di quel genio di Roger Corman, che appunto era maestro nel tirare fuori l'oro dai sassi.
E ovviamento non mi riferisco al lavoro di Bogdanovich che, come ho scritto nel commento, è semplicemente grandioso in questo suo esordio.
Parlo di tutto quel sistema organizzativo che è fondamentale per la buona riuscita di ogni film.
Un saluto!
Parole sante, sottoscrivo tutto
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