Regia di Ferdinando M. Poggioli vedi scheda film
Petruccio torna dall’America, dove si è arricchito, e chiede in sposa Catina, figlia di un sarto. Tutti contenti tranne la ragazza, bisbetica indomita. Ci penserà Petruccio a ridimensionarla, trattandola con adeguata rudezza.
La cosa più bizzarra di questa modesta, ma non disprezzabile pellicola sta nel fatto che il nome di William Shakespeare non compare da nessuna parte. La sceneggiatura risulta infatti sui titoli di testa un parto letterario di Sergio Amidei e del regista, con dialoghi firmati da Dino Falconi e Gherardo Gherardi; forse trattandosi di una rilettura in chiave moderna del testo del Bardo gli autori non hanno ritenuto necessario citarlo, ma a ogni modo la provenienza del soggetto originale non è in alcun modo celata, a partire ovviamente dal titolo. Se le due trasposizioni nostrane di maggior successo della Bisbetica domata sono quelle di Zeffirelli del 1967 e di Castellano & Pipolo (Il bisbetico domato, con Celentano) di 13 anni più tardi, è però questa pellicola di Ferdinando Maria Poggioli ad avere il primato in senso strettamente cronologico, seppure esistessero già due cortometraggi in epoca del muto dal medesimo titolo (1908 e 1913). Il lavoro è grazioso, curato a dovere per essere girato in un momento storico piuttosto difficile per il cinema e l’arte in generale; nel cast brillano nomi di chiara fama come quelli di Amedeo Nazzari, Paolo Stoppa, Lauro Gazzolo, Carlo Romano, Checco Durante e dell’allora promettente Lilia Silvi, la cui lanciatissima carriera si chiuderà però pochissime pellicole dopo questa. Ottanta minuti in cui azione e dialoghi filano spediti, con una morale chiaramente adatta ai tempi e pertanto non particolarmente femminista. 4/10.
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