Regia di Carlo Lizzani vedi scheda film
“La vita agra” racconta l’evoluzione di un emigrante, da emarginato con intenti dinamitardi a patetico teorico della pubblicità. La prima parte descrive gli esordi incerti di una lotta politica ancora indecisa tra ideologia e azione, tra provocazione e insurrezione, e pare voler individuare il germe della rivoluzione a venire in una sorta di contaminazione intellettuale dello spirito popolare, ben rappresentata dalle esibizioni di un giovane Enzo Jannacci, cantastorie da bar con accenti filosofeggianti. Purtroppo, nella seconda parte, la storia si fa sovraccarica e confusa, e per isolarne il filo conduttore occorre farsi largo col machete in una giungla inestricabile di temi narrativi, tra cinismo metropolitano, urbanizzazione selvaggia, proliferazione tecnologica, degenerazioni consumistiche, abusi burocratici, e chi più ne ha più ne metta. Quella lungimirante critica della modernità con cui il film si apre, in un equilibrato mix di Tati, Kafka e Orwell, finisce per sovrapporsi ad una semplicistica polemica antiborghese, e scadere nella caricatura spicciola. E ben poco rimane, nel prosieguo, di quell’impietoso ritratto bipolare dell’Italia, abbozzato all’inizio, che la vede, da un lato, oppressa dai meccanismi di potere governati dalla logica del profitto, e, dall’altro, affetta da un degradante provincialismo culturale. Il risultato è un film indigesto, che procede affannosamente, oscillando a casaccio tra satira di costume, dramma sentimentale, commedia popolare e saggio sociologico, e che davvero mette troppa, troppa carne al fuoco.
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