Regia di John Carpenter vedi scheda film
Secondo film del regista americano che, contando su un budget esiguo sebbene maggiore di quello per il film precedente, mette in scena un film claustrofobico, ambientato interamente in piccoli ambienti. La storia è infatti quella di un tenente di polizia che si trova bloccato in una vecchia stazione con due detenuti, una segretaria e un uomo in cerca di aiuto, inseguito da una violenta gang di quartiere che ha assediato la stazione. La più grande lezione di questo film è il mostrare come sia possibile ottenere un ottimo risultato con pochi spiccioli. La regia è ben inquadrata, solida, priva di fronzoli inutili e barocchi. La gestione degli spazi è incredibile: riusciamo a sentire interamente l'ambiente della stanza, percepiamo l'incombenza che le quattro pareti della stazione hanno sui protagonisti e, allo stesso tempo, non possiamo che essere in ansia per il costante pericolo rappresentato da queste "brigate della morte", del tutto indifferenti alla morte che si riversano nelle finestre della stazione come fossero zombie. Il film poi è molto politico; Carpenter non ci mostra un aperta distinzione fra "buono e cattivo" all'interno del gruppo dei protagonisti. Il tenente non è un eroe ma un sopravvissuto con le palle, e i detenuti non vengono giudicati a priori nonostante l'impossibilità di conoscere il loro passato. I veri "mostri" sono le brigate della morte, rappresentate in modo assolutamente deumanizzato e quasi metafora di una violenza nazionale dilagante che si scaglia contro l'istituzione, mostrando la propria forza e dichiarando apertamente la guerra.
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