Regia di John Carpenter vedi scheda film
Ottimo western urbano travestito da thriller poliziesco che, seppur in maniera acerba, da' l'opportunità al talento di John Carpenter di emergere in tutta la sua potenza espressiva e metaforica, grazie anche ad un incisivo sottotesto di critica sociale e ad una notevole padronanza del mezzo cinematografico. Un film seminale, da riscoprire. Voto 8
Al suo secondo lungometraggio dopo Dark Star (1974), suo saggio di fine corso universitario, John Carpenter ha finalmente occasione di mostrare il suo grande talento e realizza un film che è un autentico precursore di molti punti fermi della sua poetica. Infatti, nel suo essere un western urbano travestito da thriller poliziesco, Distretto 13 sembra anticipare, nell’ambientazione e nelle tematiche, il successivo 1997: fuga da New York, stilisticamente più maturo. Nonostante questo però, vi è grande lucidità e chiarezza di idee nel modo in cui l’autore newyorkese mette in scena una giustizia impotente e sistematicamente assente, che assiste all’inesorabile disfacimento di una società marcia e corrotta, sempre più devastata dalle lotte tra criminali in quartieri ormai abbandonati a sé stessi e intrappolata in un turbine di violenza che sembra rigenerarsi senza soluzione di continuità. Sangue chiama sangue, e Carpenter ce lo ricorda in una sequenza di raggelante potenza espressiva, quella dell’uccisione immotivata di una bambina innocente. Eliminando poi la classica distinzione tra buoni e cattivi e popolando il film di antieroi alienati, diversi per condizione e ceto sociale, il regista li mette tutti sullo stesso piano, in quanto egualmente vittime di una minaccia incombente ma indefinita, di un male annidato nella società che si muove nell’ombra e cresce incessantemente. Il lato contenutistico, di grande importanza, è valorizzato da una messa in scena decisamente all’altezza, in cui spiccano delle scenografie decadenti e quasi distopiche e una fotografia eccellente, specialmente nelle scene notturne, che conferisce alla pellicola un ritmo teso e un tono claustrofobico. Persino l’ironia, sempre ben inserita nel contesto, non sminuisce minimamente la pessimistica componente di critica sociale che si ripresenterà molto frequentemente nelle opere di John Carpenter (con il culmine raggiunto in Essi vivono, 1988), qui ancora in uno stadio seminale del suo percorso artistico e, forse, non ancora consapevole dell’enorme potenziale metaforico del suo cinema. Da recuperare, soprattutto per gli estimatori del regista.
Disponibile su youtube a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=DpSVSw_Smmo
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