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Distretto 13: le brigate della morte

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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La recensione su Distretto 13: le brigate della morte

di kotrab
9 stelle

Il giovanissimo John Carpenter aveva già diretto (prima del 1976) alcuni cortometraggi e il simpatico lungometraggio Dark Star, una specie di parodia un po' surreale, tra il commerciale e la giocosa sperimentazione, del kubrickiano 2001: Odissea nello spazio. Poi a ventotto anni arriva il suo primo grande successo con Assault on Precinct 13, che però ha espanso col tempo la sua fama.
Con questo film asciutto e determinato che per poco non arriva al capolavoro, Carpenter omaggia i generi e i suoi autori preferiti: come già detto in ogni occasione, in primis Un dollaro d'onore (liberamente) di Howard Hawks e, in modo più evidente, La notte dei morti viventi di George Andrew Romero, fino a Sergio Leone. La riproposizione però di modelli e strutture variate ha mostrato chiaramente (pur a posteriori) anche l'apertura di una strada tematica tipica del regista e l'imporsi di uno stile originale e saldo: il soggetto di una presenza (esterna e/o interna) minacciosa, l'incombenza del Male, un'entità che si rivela in varie forme ed è sempre in agguato.
In Distretto 13: le brigate della morte si mescolano i generi per arrivare ad una sintesi di malessere, di tensione costante e di un'ironia che lascia uno spiraglio in questa progressiva reclusione notturna nella periferia di Los Angeles (anche in Quinto potere di Sidney Lumet abbiamo un trapasso tra esterno e interno ma che parte dal chiuso degli studi televisivi e arriva al chiuso delle case, dalla stessa città e nello stesso anno di produzione), reclusione che d'altra parte conserva la propria oppressione (ne La cosa la disperazione sarà totale e invincibile perché informe e multiforme, esterna ed interna). La convergenza degli eventi, il caso che confluisce nella stazione di polizia in chiusura, la follia omicida che può essere l'agghiacciante freddezza di un meccanico fanatismo ideologico (il membro della banda che ammazza roboticamente con la pistola la bambina, esempio di violenza carnale estrema ed insensibile) ma anche il seme della follia che si insinua dal furore passionale della disperazione (il padre della bambina), la minaccia di nemici percepibili ma indistinti, divisi ma corpo unico senza identità e che si muovono fulminei e silenziosi, assoggettati dall'irrazionalità del voodoo sono la presa di coscienza incredula di ciò che non si vorrebbe mai vedere e non si vorrebbe affrontare, srotolati da Carpenter con precisione formale e grande sensibilità per un cinema di genere con una sua identità, dignità e intelligenza, carnalità e anima (la sofferenza, il rispetto, l'odio, l'amicizia, l'erotismo, quest'ultimo magnificamente suggerito dalla metaforica accensione della sigaretta - l'unica - tra la Leigh di L. Zimmer e il Napoleon Wilson di D. Joston). 9

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