Regia di Liliana Cavani vedi scheda film
Forse nemmeno il cinema di Bernardo Bertolucci – e del “primo” Bertolucci, in particolare – è tanto datato quanto quello di Liliana Cavani. Rivedere oggi I Cannibali è un’esperienza quasi più imbarazzante nell'imbattersi malauguratamente in Partner, film che, con quello della Cavani, condivide la presenza di Pierre Clémenti, efebico attore “belloccio”, emblema del sessantottismo più spiccio e (diremmo oggi) intellectual chic. E fa ancora più sorridere leggere qualche commento, ancor più datato, sul «Castoro», dedicato alla regista, di Ciriaco Tiso (1974), quando scrive «Il distributore ha sempre relegato I Cannibali in coda a film allora di moda, soprattutto quelli cosiddetti “politici” di Petri, come Un indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto: film per la verità pseudo-politici e pseudo-artistici che riscuotevano in quegli anni molto successo di pubblico, anche per la connivenza di certa critica di destra e sinistra». Dà da pensare come il film di Petri – ben più “universale” nei temi e trasversale nella messa in scena – venga accusato di “moda”. Proprio per difendere un film (I Cannibali) che, probabilmente, [facendo un po’ di sarcasmo] sarà parso vecchio a cinque anni dalla sua uscita. Un film contraddistinto da simbologie di grana grossa o grossissima (Clémenti-Mowgli che esce dalle acque, spezza il pesce per i morti, non parla la lingua “degli uomini”; e via predicando), esibite fino alla nausea (i cadaveri per le strade della città saranno, sì, d’impatto, ma dopo l’ennesima, sfiancante, ripresa “d’autore”, risultano di dubbio gusto). Se un Marco Ferreri c’avrebbe cavato qualcosa di interessante – un autore, sì, lontano dai paraocchi ideologici del post-sessantottismo -, la Cavani realizza un’opera che, forse non a caso, è finita – con la sua autrice – velocemente nel dimenticatoio.
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