Regia di Lucio Fulci vedi scheda film
Il Lucio Fulci che copia Dario Argento non è né se stesso, né l’altro: è, invece, un regista nuovo, il il cui stile morbido evita sia la grezza eccentricità del primo, sia gli affondi orrorifici del secondo. Intreccio giallo e parapsicologia sono i raffinati ingredienti di una storia che affronta il mistero con metodologia scientifica e sensibilità emotiva, chiamando la bellezza femminile ed artistica a far parte del suadente fascino dell’ignoto. Un mondo dai colori accesi, fatto di sigarette di carta gialla, portaceneri di alabastro blu, paralumi rosso sangue ed icone dallo sfondo dorato, è la fragile superficie esposta alle incursioni del male, che sfigura la faccia della realtà a colpi di roccia, di piccone e di attizzatoio, come un vandalo che scriva col pennarello su un dipinto esposto in un museo. L’estetica del film è l’espressionismo di provincia tipico di Pupi Avati, in cui il kitsch – fatto di un’eleganza antica e un po’ pacchiana – sonnecchia nella nebbia fino a che non arriva una terribile scoperta ad accenderne l’anima grottesca. Sette note in nero cala con sottile accortezza, nell’ambiente altoborghese, un complesso gioco di apparenze, in cui l’inganno è il frutto del preconcetto e di un uso avventato del giudizio.
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