Regia di Francesco Rosi vedi scheda film
"Le mani sulla città" di Francesco Rosi può essere considerato un film fondatore di un'estetica precisa, quella del "cinema politico" italiano, ma non solo, che tanto sviluppo avrà fra gli anni 60 e 70 e di cui i maestri indiscussi saranno lo stesso Rosi ed Elio Petri, i quali non a caso vinceranno una Palma d'oro ex-aequo nel 1972. Potrebbe essere considerato una pietra miliare già soltanto per questo motivo, ma a ben guardare é un film ancora attualissimo e decisamente efficace al giorno d'oggi poiché il suo tema principale, l'invettiva contro la corruzione, non passerà mai di moda (come non pensare guardando questo film agli scandali di Tangentopoli?). Evidentemente negli anni 60 il peso della speculazione edilizia e della corruzione in seno alle Giunte comunali era già notevole per spingere Rosi ad una denuncia così appassionata, così lucida e così forte nei contenuti, a mio parere priva della demagogia in cui si poteva facilmente scivolare, forse solo un po' schierata inevitabilmente su posizioni di Sinistra, con l'accusa rivolta al Centro e alla Destra che i sostenitori di quelle posizioni leggeranno come inevitabilmente faziosa, ma tant'è, il film funziona alla grande su un terreno prettamente cinematografico. La sceneggiatura scritta da Rosi insieme a La Capria e Provenzale ha un andamento incalzante, tipico di un cinema civile "all'americana" che si distanzia dal modello su vari fronti; sa alternare con intelligenza scene di riunioni e dibattiti prettamente politici con altri momenti di azione e non manca un adeguato scavo soprattutto nelle motivazioni del personaggio principale, il disonesto costruttore Nottola che diventerà assessore all'edilizia. Dopo "Salvatore Giuliano" Rosi continua a servirsi dei principi formali del Neorealismo in un'ottica meno intellettuale e di maggior impatto sul pubblico più ampio; sceglie come protagonista un eccellente Rod Steiger, perfetto nella sua fisicità anche se inevitabilmente doppiato, gli affianca l'immancabile Salvo Randone, qui nel ruolo di fianco del sindaco neo-eletto, svolto con la consueta perizia e bravura, e coinvolge molti non-attori come Carlo Fermariello nel ruolo del consigliere De Vita, decisamente azzeccato e credibile (era un vero uomo politico che anni dopo sarà eletto sindaco di Vico Equense). La fotografia di Di Venanzo immortala una Napoli popolare miserabile e le stanze del potere con un realismo privo di orpelli del tutto adeguato ai toni dell'opera; la musica di Piccioni offre sonorità jazzistiche che sottolineano l'assurdità kafkiana del concetto di Potere. Qualche scena un po' sbilanciata su toni oratori non manca, ma nel complesso Rosi privilegia la concisione; é un peccato che dopo la favolosa doppietta di questo film e di "Salvatore Giuliano" il suo cinema politico andrà gradualmente ripiegandosi su stesso, perdendo quell'urgenza espressiva che qui era ancora molto forte.
Voto 9/10
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