Regia di Coline Serreau vedi scheda film
Inverosimile. Ma illuminante su tanti tratti del mondo contemporaneo: e profetico, per come tali tratti vengano rappresentati nel ’92, e siano certamente attuali anche oggi, ben 33 anni dopo.
Tali tratti consistono in: i disastri delle famiglie allargate (in cui i figli non sanno in modo chiaro di chi sono fratelli, figli, nipoti); la frenesia della società capitalista, che impedisce ogni serenità e rende inevitabile la psicopatia, per chi voglia fare carriera all’interno delle classiche - almeno da due secoli - dinamiche dell’arricchimento all’occidentale; la disumanità poi di tale società capitalista, che non permette la valorizzazione di quanto è davvero significativo per la promozione della felicità umana, in senso profondo.
Sono poi memorabili tanti dialoghi, o monologhi, per quanto contrassegnati tutti da un’ansia opprimente, la quale però così dimostra la perniciosità di tale impostazione atlantica – capitalista (verrebbe da dire, anche: europeista, proprio negli anni in cui nasceva l’Unione Europea), almeno negli interessi reali delle maggioranze, e della autentica democrazia.
Un esempio di tale sincerità sta soprattutto nel monologo della madre del protagonista. Splendida è la frase «finalmente, da sola, posso scorreggiare tra le lenzuola», che, in mezzo a tante altre, rende l’idea della disumanizzazione che viene imposta dalla corrente concezione capitalista del mondo, nel suo soffocante conformismo (pur, ovviamente, dovendosi deplorare ogni scorreggiamento).
Ma, di profetico, c’è anche la legittimazione odierna del razzismo, in salsa sovranista, per quanto inaccettabile - per la democrazia, i diritti umani, per chi scrive. Infatti, come è noto, nei tempi della globalizzazione (che continua dopo trent’anni, e in quel momento si affermò, dato che si era l’anno dopo della abolizione del comunismo in Russia), c’è stata una spinta che legittimava l’emigrazione: e nei paesi ex colonialisti, come qui la Francia, ciò ha rafforzato – per quanto, parzialmente, inopinatamente – la protesta contro le politiche favorevoli ai migranti, in quanto tolgono diritti a chi ha costruito il proprio paese con le tasse versate proprio per i diritti; e ciò è avvenuto proprio nel momento in cui, al contrario, tale paese spesso non riesce – come in gran parte è evidente, anche ai nostri giorni - a garantire seriamente i diritti proprio a chi ha costruito il proprio paese con le tasse versate proprio per i diritti.
Ma i difetti di questa pellicola di Coline Serrau sono maggiori dei pure tanti pregi. I rovesci drammaturgici sono assolutamente troppi – nel complesso e nel tempo - per essere credibili.
La stessa valorizzazione dei temi positivi solo nei personaggi più limitati intellettualmente - come Michou e i suoi parenti – è poco credibile, per quanto – certo - non incredibile. Ciò – poi – vien detto da chi sempre riconosce tutti i meriti delle persone non altolocate, sotto il profilo economico e intellettuale: riconoscendone anche la scorrettezza del loro mancato riconoscimento da parte dei più; e riconoscendo anche la scorrettezza del mancato riconoscimento dell’iniquità di chi spesso esalta il merito di chi in realtà non ha merito verso la cittadinanza – o peggio ha demeriti, più o meno gravi, verso la cittadinanza, come le minoranze capitaliste, ad esempio.
Che la carriera capitalista, se realmente e coerentemente perseguita – come da un paio di secoli almeno viene indicato dalla stragrande maggioranza dei mass media, gestita dalla stragrande minoranza, formata dai capitalisti - soffochi tanti aspetti della felicità umana, sicuramente quelli maggioritari: quantomeno, ciò è un merito del film.
Il quale resta una sceneggiatura teatrale: eccessiva nel suo tono grottesco, ma comunque seria, veridica e stimolante per tanti contenuti, come detto.
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