Regia di Derek Jarman vedi scheda film
Jarman sceglie una messinscena brechtiana nella recitazione degli attori e nella scenografia spoglia dello studio, un po' come nel più recente "Dogville" di Lars Von Trier. Il film è tutto un viaggio nel cervello del filosofo (come Cronenberg entra nel cervello del suo "Spider") che si vede un po adulto e un po' bambino, guidato da una specie di nano extraterrestre che funge da coscienza (non a caso lo accompagna sul letto di morte). Il tormento del filosofo che non si accontenta delle verità rivelate (notoria è la frase di Wittgenstein "su ciò che non si può conoscere si deve tacere") e che propone una nuova filosofia - davvero nuova perché contrappone all'individualismo dei filosofi di tradizione cartesiana una filosofia sociologica che a me sembra apparentarsi al marxismo, ed ecco l'interesse, con annessa delusione, per la società sovietica - sono raccontate da Jarman con la stessa sofferenza che deve aver provato lui come artista: ed è per questo che, nonostante si tratti di un tipo di cinema che non mi convince appieno, il film lo sento sincero e sofferto come poche altre operazioni del genere.
Il piccolo Ludwig Wittgenstein, bambino prodigio viennese, diventa un filosofo di fama, docente a Cambridge, amico di Betrand Russell e John Maynard Keynes, ma non riesce a condurre una vita serena, tormentato da una logica che fatica ad incastrarsi nella realtà e dalla ricerca di una condizione ideale come uomo (il rapporto con un giovane studente) e come individuo inserito nella società (la curiosità per il sistema sovietico, la volontà di fare un lavoro manuale).
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