Regia di Giuseppe Ferrara vedi scheda film
Cinema utile ma non necessario, istintivo e didattico, elementare ma efficace.
Opera media nel doppio senso della forma e dell’anagrafe dello spettatore. La prima volta che lo vidi fu in una proiezione scolastica mattutina. Frequentavo appunto le scuole medie e l’applauso finale fu la reazione di cuore e sincera di ragazzi che partecipavano emotivamente senza che il concetto di retorica esistesse nelle loro teste. In quel momento per me il concetto di cinema non poteva che essere quello, un rito collettivo, qualcosa da condividere, con il passare degli anni i film si sarebbero complicati e le sale svuotate, quella mattina i difetti del film non esistevano, c’era la speranza che la violenza di quei fatti non si ripetesse più in futuro. Ferrara tira dritto a raccontare i fatti dall’uccisone di Bontate , boss mafioso perdente, alla strage di via d’Amelio che uccise Paolo Borsellino e la sua scorta due mesi dopo la strage di capaci dove peri il suo collega e amico Giovanni Falcone con moglie e scorta. Il regista segue la scia della violenza degli omicidi e attentati mafiosi e non, il lavoro tenace di pochi magistrati e forze dell’ordine palermitani ostacolati da corvi, talpe e altre bestie di stato. Fatti che ho poi approfondito su libri e altri film che hanno provato a raccontare quella guerra civile asimmetrica fra istituzioni deviate e corleonesi da un lato contro chi voleva mettere in luce denunciare quella alleanza tra la ferocia della cupola e lo Stato colluso. Instant-movie che non da respiro si concede minime digressioni per una normalità che in quei giorni per quei giudici non può esistere. Il contenuto è tutto e la forma non può che essere secondaria e para-televisiva, trampolino di lancio per farsi domande e conoscere meglio quello che vediamo sullo schermo. Tra omicidi che esigono mandanti eccellenti, la cronaca di Ferrara esige il filtro della storia, non basta sapere chi ha sparato bisogna capire chi ha deciso quello sparo.
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