Regia di Pasquale Festa Campanile vedi scheda film
C’è una specie di forza inebriante che ti spinge a vedere i film con Catherine Spaak, a prescindere dalla validità del prodotto. Io per esempio, non nego di rimanere estasiato al cospetto di una bellezza androgina naturale, la quale ormai appartiene ad un'era lontana dai giorni nostri, e che quindi oggi è impossibile da ammirare sullo schermo, in quanto non esiste nessuno capace di ricordare vagamente quel corpicino così avvenente e stuzzicante. Questa difatti è l’unica attrattiva effettivamente degna di nota del metraggio di Campanile e Nicolò Ferrari, due autori di sicuro divertiti dal fatto di poter strumentalizzare la rivoluzione femminista sessantottina in corso per avere un pretesto, piuttosto effimero, il quale giustificasse le numerose situazioni in cui la Spaak doveva mostrare le sue grazie al pubblico; impersonando una vedova attratta dal testo sulle patologie passionali “Psychopathia sexualis” di Richard von Krafft-Ebing, l’ereditiera, interpretata dall'affascinante mini-diva francese, decide di mettere in atto le perversioni voyeuristiche del defunto marito con la complicità dei vecchi conoscenti dell'entourage borghese. Questo bislacco propellente del racconto porta a improvvide circostanze di un liofilizzato erotismo, ma ad essere assente è una trama stimolante o per lo meno comprensibile nelle più semplici ribaltine (il contratto nuziale proposto da uno dei personaggi è qualcosa di inutilmente criptico). Da segnalare parti minori per Gigi Proietti (spaesato nella sagoma semi-comica) e Jean-Louis Trintignant, la “cavia” degli unici dilettevoli frammenti ove la Mimmi/Spaak scopre finalmente la pratica del “pony ride”, adatta a darle una sorta di appagamento lussurioso incitato dal subconscio. Un segmento spassoso che però non argina il ritmo soporifero (così come alla lunga tediano le noiose musichette lounge di Trovajoli).
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