Regia di John Landis vedi scheda film
John Landis riprende l’ironia e l’irriverenza al genere che aveva usato in “The Blues Brothers”, un pizzico di azzeccate scene che strizzano l’occhio all’horror come in “Un Lupo Americano a Londra”, citazioni cinematografiche tra vecchi film e amici registi, e confeziona un film semplice, ma piacevole. Non è un capolavoro, e l’alone di cult movie non mi sembra poi così felice. Sicuramente si rivede la divertente libertà delle sue produzioni meglio riuscite.
Anche qui i vampiri sono modernizzati e come quelli della Bigelow (sempre i migliori), o del Carpenter de “Vampires” e “Ghost From Mars”, o del Marcus Adams di “Octane”, si organizzano in gruppi di sopravvivenza, e a volte cambiano pure il Mito: qualcuno è sensibile all’aglio e alle croci, altri no; qualcuno non tollera la luce e altri sì (poco per la verità); altri succhiano il sangue avvolti nel loro mentellone alla Bela Lugosi, altri preferiscono reperirlo in modi più moderni e sofisticati. Ma ciò che non cambia, ed è il fascino ultimo di tutti i film sui vampiri-contemporanei, anche quelli minori, come questo di Landis, è che rimane evidente e ben presente il Mito di una vita altra, magari peggiore o migliore, ma rimane questo dualismo che muove ogni azione dell’uomo. Il fascino per il diverso, e per una semi-autodistruzione, portano il cinema a sublimare nei Vampiri questa tensione inspiegabile che a tratti è una benedizione, e in altri...una vera e propria maledizione.
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