Regia di Stuart Gilmore vedi scheda film
Nuova trasposizione cinematografica del celebre romanzo di Owen Wister che aveva già ispirato Cecil B. De Mille nel ’14 e Fleming nel ’29 con il celebre ruolo del “virginiano” affidato a Gary Cooper, oltre ad un muto del ’23 firmato Tom Forman. Questa nuova versione del 1946, l’anno di “Sfida Infernale” di John Ford da cui il western inizierà il suo lungo decennio d’oro, diretta da Stuart Gilmore è una versione incolore, puro mestiere patinato senza idee e senza intuizioni. La storia è sempre la stessa, e con lo “Shane” di George Stevens del 1953, tratto dal celebre romanzo di Jack Schaefer, crea uno, se non il primo, dei moduli western per eccellenza. Abbiamo il buon cowboy che vive un rapporto conflittuale con il suo miglior amico, che s’innamora di una donna difficile, che deve rivaleggiare un cattivo a tutto tondo. In “Shane” c’era il cavaliere solitario, c’era lo straniero, c’era la fatalità, il destino, il cattivo di nerovestito e nemesi del protagonista, c’era la grandezza e la piccolezza del mito. In “The Virginian” c’è l’amicizia virile, la compadrería, il rischio, il cattivo di nerovestito nemesi del protagonista, c’è la maestrina e i bovari, c’è la legge e il Paese al di sopra di altri valori. Ma la versione di Gilmore vanifica ciò che sulla carta ha l’aria di essere un testo ambiguo ed interessante. Tutta la prima parte è legnosa, mentre invece il film diventa interessante in alcune parti del secondo tempo, e precisamente dal furto della mandria in avanti. Il duello finale tra il cattivo Trampas e il buon Joel McCrea è molto suggestivo, ma Leone o lo zio Sam chissà cosa non si sarebbero inventati! Bello l’incontro di notte tra i due amici e la seguente impiccagione di Steve. Purtroppo non si può salvare nulla di più. Anzi, il film sembrerebbe dare ragione alla vecchia arpía che ospita la maestrina, che in un primo momento invece tira fuori tutto il suo più retrivo odio e la sua più arrogante ignoranza nel celebrare la legge e il Paese, mentre poi torna la buona nonnina della torta di mele. Nell’accetazione di ciò che è successo, e di grave, da parte della maestrina c’è tutta l’adesione della propaganda americana verso i valori falsamente cristiani e falsamente umanisti che loro stessi deformano e difendono nella loro deformazione. Credo che come “Sfida Infernale”, come prototipo e modello per il western classico americano, non ce ne sia nessun altro.
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