Regia di Harold Ramis vedi scheda film
Il 2 febbraio un giornalista televisivo si trova bloccato dalla neve in un paese dove era andato a registrare un servizio: è infatti il “giorno della marmotta” (come da titolo originale), quello in cui si deve osservare il comportamento di una marmotta per capire se ci sarà una primavera precoce. Il giorno dopo gli stessi fatti si ripetono uguali l’uno all’altro, poi ancora e poi ancora. Fra incredulità e disperazione (perché dover rivivere proprio quel giorno, passato in un posto assurdo a fare cose assurde? perché non un altro giorno, più ricco di soddisfazioni?) si fa strada un’idea: se il domani non esiste, non sarò chiamato a rispondere di ciò che faccio oggi. Ecco allora che si può sfruttare la situazione a proprio vantaggio, facendo valere le conoscenze acquisite nelle innumerevoli fotocopie dell’ieri: rubare un sacchetto di denaro, approfittando della distrazione degli agenti di scorta; sedurre la bella collega di lavoro, assecondando i suoi gusti che si è imparato a conoscere per via di continui aggiustamenti. Se ho a disposizione tutto il tempo che voglio, ogni errore potrà essere corretto la volta dopo [Ed è per me inevitabile ripensare a certi episodi del passato: forse quella volta a Francesca avrei dovuto dire quella tale cosa, oppure non dirgliela, oppure dirgliela in modo diverso, oppure lasciare che la dicesse lei]. Per questa strada si può arrivare a sentirsi Dio ("Probabilmente il vero Dio usa dei trucchi. Probabilmente non è onnipotente, ma è lì da tanto tempo che sa tutto"); ma è una strada che si rivela sbagliata, e anzi conduce a una serie di suicidi (tutti vanificati la mattina dopo, con la radiosveglia puntata inesorabilmente alle 6): la vita sarà sempre pura ripetizione, finché non si passerà dall’utilitarismo all’amore disinteressato. E il cambiamento arriva quando si comincia a guardare con occhi diversi il mendicante che chiede l’elemosina all’angolo della strada: quante volte è morto, quante ancora dovrà morire? è possibile fare qualcosa per salvarlo? L’unico difetto del film è il finale, che secondo me arriva in modo arbitrario: non si capisce perché il tempo si era bloccato, né perché ora si sia sbloccato (se non per il fatto che si è finalmente riusciti a organizzare un giorno perfetto). Il momento giusto per far ripartire le lancette dell’orologio era quello in cui Bill Murray dice ad Andie MacDowell (che neanche ascolta, mezzo assopita) “Non sono degno di averti vicino, ma se ne avessi l’occasione giuro che ti amerei per tutta la vita”: è lì che lui ha capito il valore inestimabile di qualcosa il cui possesso si dà per scontato, il tempo. Peccato, perché le stelle potevano essere 5.
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