Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Stroncato pressoché all’unanimità dalla critica quando uscì, debitore, se non affine, di Grazie zia di Samperi (cui rimandano diversi elementi, tra i quali la presenza di Gabriele Ferzetti, in un ruolo assai simile), uscito appena un anno prima, Un bellissimo novembre risente, forse eccessivamente, delle atmosfere sensuali ma un po’ estenuate dell’omonimo romanzo di Ercole Patti ed è penalizzato dalla recitazione goffa della Lollobrigida (un’attrice che non ha saputo riciclarsi fuori dai personaggi di “maggiorata fisica”). Tuttavia il film di Bolognini contiene parecchi elementi che rendono interessante la sua visione, dalle sagaci notazioni sulla famiglia patriarcale siciliana, all’interessante figura del protagonista adolescente Nino (interpretato da un indovinatissimo Paolo Turco), alla creazione del bel personaggio del cugino Mimì (Jean Maucorps), il più consapevole di vivere in una prigione ed anche il più desideroso di evaderne. In più, è da condividere la scelta di Bolognini di cambiare il finale del film, rispetto al libro, in senso meno tragico, ma anche – a voler tacere del fatto che, mentre il romanzo era ambientato negli anni Venti, nel film siamo agli inoltrati anni Sessanta – più siciliano: lo scandalo suscitato dalla zia Cettina (che qui, per ragioni strettamente lollobrigidiane, ha una quindicina d’anni più del personaggio di Patti) non può esplodere, ma deve implodere all’interno della famiglia. Infine, Bolognini, nel mettere in campo perfino motivazioni freudiane, non assolve nessuno dei suoi personaggi (con l’eccezione, forse, del solo Mimì), né presi singolarmente né in gruppo; e quando Nino schiaffeggia selvaggiamente la zia, confonde il suo volto con quello della madre Elisa, anni prima sorpresa in camera insieme allo zio Concetto (quando, probabilmente, il padre, ora defunto, era ancora in vita). E non è da escludere che quegli schiaffi fossero diretti anche alla Sicilia nel suo insieme, se ci si ricorda il dialogo tra commensali di qualche sera prima a cena, quando l’isola viene definita da Nino (ma con evidenti riferimenti, da parte sua, a Cettina) e dallo zio Alfio, patriarca della famiglia, “sgualdrina” e “bottana”.
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