Regia di Mark Robson vedi scheda film
Buon dramma, forse un poco piacione.
A una prima occhiata, la località di Peyton Place ha tutta l'aria di appartenere a quello specimen bonariamente preso in giro nel film Pleasantville. Uno di quei ridenti borghi di campagna dove splende sempre alto il sole, i fiori prosperano sui prati, e, of course, i fidanzatini del liceo si sposano e procreano nella più arcadica delle allegrezze. Fortunatamente, la prima impressione è errata. Ci sono fondamentalmente due linee direttrici che la sconfessano. Da un lato, il paese dietro l'involucro di serena rispettabilità cela al suo interno un formicaio di gelosie, di delazioni cattive e indiscrete, e poi di repressioni, e divieti, e glaciale indifferenza. Dall'altro lato, abbiamo una climax tragica dirompente: la vita, nell'avvicendarsi delle stagioni e degli anni, si abbatte contro i protagonisti con il suo volto più maligno, la sua forza più violenta. La piccola tragedia della mancata promozione dell'adorata miss Thornton a direttrice della scuola viene velocemente dimenticata, ed orrendamente rimpiazzata, una volta che i nostri giovani virgulti abbandonano per sempre la sicurezza delle mura scolastiche. Conoscono via via lo stupro, il suicidio, e soprattutto, la guerra. Quella mancata promozione ci appare ad un certo punto così lontana, e tanto sciocchi ci rendiamo di essere stati, a commuoverci... Le premesse da Pleasantville vengono tuttavia rispettate in conclusione: l'intervento risolutivo, da deus ex machina, del dottor Swain, innesca un processo di rigenerazione dello sconnesso tessuto sociale e morale del paesino. Tutto è bene quel che finisce bene. Manca insomma la lucida ferocia che avrà Bogdanovich nel suo Ultimo spettacolo. La differenza è presto delineata: Peyton è una cittadina dormiente che attende solamente qualcuno che la riscuota dal torpore; l'Anarene di Bogdanovich risuona invece del canto sublime delle cose morte. Morte le illusioni del passato, morte le aspirazioni del futuro. Peyton è un luogo di tragedia e rinascita, inferno e paradiso, mentre invece Anarene è un purgatorio da cui è impossibile evadere, in cui ogni tentativo di fuga è sempre stroncato sul nascere. L'indagine sulla società americana a Peyton non buca completamente lo schermo perché sembra dettata da esigenze narrative piuttosto che da urgenze morali: la tendenza verso l'horror vacui, a far accadere tante e tante cose allo scopo di impressionare lo spettatore, incrina un po' il meccanismo del film e gli toglie genuinità. Per questo, preferiamo L'ultimo spettacolo, nel suo minimalismo, nel suo pallore cadaverico, nella sua sublime elegia sul nulla: perchè tratta più o meno gli stessi argomenti, ma non pretende di dispensare inutili rassicurazioni.
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