Regia di Mario Bava vedi scheda film
Il giallo all’italiana nasce nel 1963 accompagnato dalla voce di un giovane Adriano Celentano che canta la sua hit Furore, la canzone fa da sfondo ai titoli di testa del film di Mario Bava, titoli che mostrano un aereo dell’americana TWA in volo verso Roma.
A bordo del velivolo c’è la giovane e bella Nora Davis (Letìcia Romàn, al secolo Letizia Novarese) in visita turistica ad una vecchia amica di famiglia, appassionata di romanzi gialli la ragazza non ha il tempo di mettere piede nella capitale che si ritrova subito nei guai, prima il suo vicino di posto le passa un pacchetto di sigarette alla marijuana (il tizio verrà arrestato a Fiumicino), poi l’anziana amica che doveva ospitarla muore la notte del suo arrivo, cercando aiuto viene infine aggredita sulla scalinata di Trinità dei Monti e scippata da un balordo cade e perde i sensi.
Quando si riprende è testimone dell’evento più terribile, una donna viene accoltellata e poi trascinata via da un misterioso uomo, Nora è talmente scioccata che perde di nuovo conoscenza, quando si risveglia si ritrova in un ospedale e ovviamente nessuno crede al suo racconto, a parte forse il Dott. Marcello Bassi (John Saxon), che affascinato dalle belle grazie della giovane la seguirebbe in capo al mondo.
Il soggetto de La ragazza che sapeva troppo porta la firma di ben sei sceneggiatori (Mario Bava, Enzo Corbucci [in realtà Sergio Corbucci], Ennio De Concini, Eliana De Sabata, Mino Guerrini e Franco Prosperi), un bell’esercito di scrittori per tirare fuori una storia non certo brillante da un punto di vista giallistico, la trama infatti è piuttosto lineare e il colpevole dei delitti si intuisce a metà film (forse anche prima), poco male comunque perché non è certo la storia a dare spessore alla pellicola di Bava rendendola un caposaldo del genere.
In questo film vengono presentati per la prima volta alcuni degli elementi estetici e narrattivi che in seguito diventerenno pilastri di un certo tipo di produzioni, Mario Bava stava evidentemente molto avanti e consapevolmente o meno gettava le basi di un nuovo filone cinematografico, che lui stesso contribuì negli anni successivi ad ampliare e modificare (Sei donne per l’assassino esce un anno dopo ma sembrano passati decenni), fino a giungere ai primi anni ’70 con l’avvento di Dario Argento.
La ragazza che sapeva troppo (The Evil Eye per il mercato americano) è uno strano ibrido, nella sua forma espressiva sono presenti trovate innovative, inquadrature ricercate e più in generale una messa in scena moderna e assai ispirata, ma in sottofondo continua a dominare l’influsso del gotico che il regista ligure usa con grande sapienza per donare un tono molto cupo ad alcune sequenze.
Inutile dire come la scelta del B/N sia quanto mai azzeccata, raramente si è vista una Roma così cupa e dominata dalle ombre, la stupefacente e lunga scena girata sulla scalinata di Trinità dei Monti ha una costruzione drammatica e un ritmo perfetti ma l’aspetto che la rende indimenticabile è senza dubbio l’uso delle luci, un continuo gioco di bianchi e neri che si sfidano nella notte romana e che si imprimono sul volto spaventato della Romàn, di colpo trascinata in un mondo oscuro fatto di donne accoltellate e sangue che bagna il selciato.
Bava era un maestro in questo, il film certifica la sua ultima prova come adetto alla fotografia (ma la sua mano/ispirazione sarà sempre presente nei film successivi), una limpida testimonianza del suo talento clamoroso, l’inventiva di un regista che eleva un esile racconto giallo a qualcosa di molto più coinvolgente e affascinante, un film che nelle sue scene più riuscite tocca vette notevoli, piccoli/grandi frammenti di suspense e tensione che andrebbero studiati nelle scuole di cinema.
Il titolo italano è un chiaro omaggio al film di Hitchcock L’uomo che sapeva troppo (uscito sette anni prima), una scelta forse commerciale per attirare più spettatori in sala, di fatto non ci sono particolari citazioni dell’opera di Hitch, giusto a voler inserire qualcosa si può dire che la protagonista vive la sua avventura in trasferta (come accadeva a James Stewart e Doris Day) e che la scena dell’omicidio vede una donna colpita alle spalle da un coltello (come succedeva a Daniel Gèlin [Louis Bernard]) ma insomma si cerca il classico pelo nell’uovo.
La tensione e la suspense nei due film ha una genesi completamente diversa, Bava inoltre non rinuncia ad una forte componente ironica che in alcune circostanze può risultare persino stonata, così come l’immancabile siparietto sentimentale tra la bella Nora e il Dott. Bassi.
Ma sono peccati veniali, il film pur non avendo ancora un’identità precisa, muovendosi quindi sia narrativamente che formalmente su diversi piani, si lascia apprezzare per la notevole messa in scena di un Bava gia lanciatissimo e per la strepitosa riuscita di alcune scene madri, che da sole valgono il “prezzo” della visione.
La gotica sequenza della morte della vecchia amica di famiglia, le ombre di una stanza, il cadavere con gli occhi sbarrati, il temporale e quel gatto malefico che salta sul letto facendolo dondolare, la già citata scena dell’aggressione a Trinità dei Monti, la Romàn che da sola si avventura in un palazzo che sembra abbondonato, sale le scale ed entra in una casa deserta e senza mobilia, illuminata da lampadine che pendono dal soffitto mosse dal vento e con una voce sinistra che parla da una stanza lontana, infine il gran finale rivelatore, primi piani di terrore puro, zoomate improvvise sul volto della protagonista, in bilico tra luce e oscurità, tra salvezza e morte.
La ragazza che sapeva troppo è un opera di primaria importanza nella carriera di Bava ma resta fondamentale il suo contributo per lo sviluppo di un genere che sarebbe esploso completamente solo alcuni anni dopo, in questa opera si mettono però i primi paletti fondamentali, si stabiliscono le prime regole da seguire, le coordinate di un meccanismo che altri autori provvederanno a registrare, secondo la propria sensibilità e il proprio talento.
Da notare che il film esce nella versione americana (The Evil Eye) con alcune sostanziali differenze, molto più accentuata è la parte ironica (la Romàn in baby-doll spiata da un ritratto dello stesso Bava) ma soprattutto va segnalato un finale diverso, che non cambia tuttavia il senso del film.
Le ultime parole di questo commento sono d’obbligo per la grande Valentina Cortese, attrice italiana di primissimo piano che surclassa nelle poche scene presenti i giovani e un pò inesperti attori principali, ruolo non facile il suo ma reso con la consuetà bravura e professionalità.
Voto: 7.5
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta