Regia di Luchino Visconti vedi scheda film
Una curiosa circostanza: in una delle ultime scene del “Volver” di Almodovar, che stavo guardando in compagnia di un amico, vengo a sapere attraverso una rapida indagine che il “film nel film”, trasmesso in TV su Volver, è la terza opera di Luchino Visconti “Bellissima”. Incuriosito decido quindi di ovviare alla lacuna scoprendo che la scelta del regista spagnolo non era stata casuale, semplicemente entrambe le opere trattano lo stesso tema: l’innato amore materno che a volte tende a velare l’etere della realtà limitandone consapevolezza e valutazione.
Una riflessione su un’apparente ovvietà, non direttamente connessa al film, mi ricorda quanto non sia spontaneo nel momento in cui ci si trova di fronte a una figura (in questo caso femminile, ma alludo a entrambi i generi) non più giovane - sia che si tratti di una mamma o di una nonna - “scorgere” la ragazza, anzi la bambina che tuttora si cela in lei e che solamente lei, o chi le era stato vicino negli anni del suo vissuto, è in grado di visualizzare. Questa visualizzazione è l’oggetto della riflessione. Ovvero, questa “capacità” in quale misura potrebbe risultare di aiuto nel comprendere atteggiamenti e scelte che di norma si rivelano assurdi e inspiegabili?
La vicenda, da un soggetto iniziale di Cesare Zavattini (rielaborato più volte da terzi prima delle riprese), è un classico del neorealismo post bellico dove, a Roma - in un contesto degradato fatto di palazzi fatiscenti e saturo di comari urlanti e invadenti - vive la famiglia composta dalla piccola Maria e dai suoi genitori: Maddalena e Spartaco.
Visconti è maestro nel presentarci un contesto popolare di estrema povertà, sia culturale che materiale, ma, nel contempo, dignitoso nello spirito e nell’onestà che ne pervade la seppur modesta esistenza. Il loro appartamento si trova in un seminterrato nel quale, in estate, mentre Maddalena (Anna Magnani), attraverso una delle alte finestre che si affacciano direttamente sul piano strada, scorge le proiezioni di un cinema all’aperto rimembrando quelle che un tempo erano state le sue utopie di attrice, il marito Spartaco, seduto al tavolo della cucina, più prosaicamente sogna anche lui apportando continue modifiche al progetto dell’appartamento che prima o poi conta di riuscire ad acquistare con i risparmi e i sacrifici del lavoro di entrambi.
A fronte del rimanere innocenti fantasie quelle di lei, potrebbero invece sviluppare reali potenzialità quelle di lui, non fosse per un casting organizzato a Cinecittà dal regista Blasetti (che nel film interpreta realmente se stesso) il quale, per una parte nel suo prossimo film, è alla ricerca di una bambina, una bambina “bellissima” per l’appunto, come pubblicizza il cartellone del concorso. Questo “tasto” sfiorato da Visconti non corre il rischio di passare di moda. All’epoca, come oggi seppur con dinamiche aggiornate, le vibrazioni emotive geneticamente recepite dalle materne indoli sono garantite e immarcescibili e… Maddalena non ne è di certo immune.
La bravura della Magnani nell’immedesimarsi in questa sua parte è davvero eccezionale, la sua recitazione è verosimile e naturale al punto da infondere nello spettatore il dubbio che il suo abituale contesto di vita sia realmente quello della vicenda.
Tornando a quest’ultima, Maddalena nel vedere per la piccola Maria quell’occasione (che per se stessa era rimasta un miraggio), osserva a occhi spalancati e, ahimé, con la mente offuscata dall’emotività e dall’impulsività, ottenendone un mix in grado di obnubilare la razionalità che pur fino a quel momento poteva annoverare fra le sue doti di donna semplice ma caparbiamente incline a seguire il volitivo marito. Infatti Visconti, propenso a rifuggire dall'eccedere nell'ostentare quella dissennata ignoranza talora accostata al ceto popolare, ci propone, nella parte di Spartaco un uomo di modesta cultura ma con un elevato (buon)senso pratico, a riprova di quanto non sia scontato lo stereotipato luogo comune della scarsa cultura equiparata a scarsa saggezza (talvolta, potenzialmente, non si può escludere il contrario )!
L’ebbrezza a cui va incontro Maddalena è causa di non pochi effetti collaterali; primo fra tutti la rapidità, inversamente proporzionale alla fatica profusa per accumularle, con cui inizia a dilapidare cospicue somme sottratte ai risparmi di famiglia, il cui fine era appunto una casa più vivibile e decorosa.
Come prassi comune in tali situazioni, oltre al non tener minimamente conto dello scarso interesse (e talento) della figlia, la donna cade repentinamente vittima di quel turbinio di costosi e indispensabili optional prontamente offerti da parrucchieri, fotografi, sarti, nonché maestre di recitazione e di ballo alle quali si accorpa l’immancabile figura dell’intrallazzatore, o presunto tale (tipologia di personaggio che tanta fortuna avrà nella commedia italiana del dopoguerra ), il quale, millantando improbabili influenze sulla giuria, riuscirà dapprima a spillarle una cospicua somma di denaro per poi tentare più sfacciate “avances” elegantemente snobbate però dalla sua “vittima” grazie a un graduale seppur tardivo ravvedimento, sufficiente però a rivelare - o, forse più correttamente ribadire - all'inesperta Maddalena l’esistenza di una quotidianità di basso profilo dove il ricorso a ogni deplorevole tipologia di escamotages per sopravvivere parrebbe lecita.
A tale presa di coscienza aveva contribuito - in occasione di un’effettiva convocazione per un provino - la conoscenza in loco di una giovane ex attrice con la relativa constatazione di quanto le esperienze di quest’ultima nel mondo del cinema non fossero state troppo felici (tale Liliana Mancini che davvero aveva iniziato la carriera di attrice) in quanto la poverina, dopo le prime timide ma valide apparizioni sul set, si era dovuta ineluttabilmente adattare e limitarsi a operare in sala di montaggio. Il ravvedimento totale arriverà però poco dopo, quando, grazie alla benevolenza di costei (Liliana), Maddalena avrà modo di assistere in incognita alla reazione poco edificante dei meschini componenti la giuria i quali, di fronte alla piccola Maria in lacrime, non si erano trattenuti dal deriderla sghignazzando totalmente senza remore.
Nel finale di indubbio biasimo per la categoria dei cinematografari (ma potenzialmente ad ampio spettro per tutti i cinici, potenti e insensibili cafoni non rari in certi ambienti) potremmo forse avallare il parere di coloro (pochi) che ambirebbero altresì leggere nella sceneggiatura un monito mirato alla prevenzione di facili quanto fuorvianti e rischiose illusioni da parte delle categorie più deboli.
Probabilmente, se la vicenda fosse narrata in tempi attuali, la presa di coscienza di Maddalena - tardiva ma risolutrice anche dei ritrovati equilibri famigliari - sarebbe stata sufficiente ma, comprensibilmente con i canoni dei primi anni ’50, la sceneggiatura optò per un finale forse eccessivo con quel clamoroso rifiuto del contratto (nel frattempo improbabilmente presentato da una ravveduta troupe) tanto efficace nel sottolineare le ritrovate qualità morali quanto inverosimile date le cifre in gioco.
In tutti i casi “Bellissima” offre allo spettatore un cocktail di alto livello, dove la regia di Visconti si avvale della magistrale sceneggiatura di Zavattini, maestro nell’effondere quel misto tra crudo realismo e il comprensibile desiderio del genitore che ambisce un miglior futuro per la propria prole. L’altro plauso, oltre alla già citata performance della Magnani, va a un bravissimo Walter Chiari, così diverso da come avremo avuto modo di conoscerlo in tempi successivi; mentre la pur brava Concetta Apicella (di soli cinque anni) non conoscerà altre esperienze cinematografiche (la stessa sorte toccata al ragazzino protagonista di “Ladri di Biciclette) e si dovrà accontentare dell’ amicizia nata sul set con la Magnani, amicizia che si protrarrà per molti anni a venire.
Curiosamente “Bellissima” venne piuttosto snobbato in patria, dove gli incassi al botteghino non permisero alla pellicola di rientrare nemmeno tra i primi 120 film prodotti quell’anno. Per contro riscosse notevoli successi all’estero, dapprima a Parigi e poi nelle Americhe sia meridionale che settentrionale, culminando nel maggio del ’53 a New York con un trionfo avvalorato dalla presenza della stessa Magnani.
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