Regia di William A. Wellman vedi scheda film
Il gangster movie abita qui. Vive ed agisce criminale tra le strade di un’America sperduta e frastornata, troppo impegnata nel calcolare il giusto equilibrio tra sogni e bisogni, per niente interessata a fermare la furia dannata che avvolge i malavitosi. È questo lo scenario urbano, complice e cupo in cui si muove la parabola umana di Tom Powers, è tra i bigi palazzi della periferia e gli sfavillanti saloni dei tabarin che può avere luogo l’ascesa irresistibile e la relativa caduta di questo “nemico pubblico”. In realtà, se andiamo ad esaminare bene, l’antagonismo di questo personaggio non è tanto verso il pubblico: l’avversità è nei confronti della banda rivale, il contorno “normale”, ordinario, la comunità estranea alla malavita, ha un ruolo marginale – anzi, forse non compare quasi per niente. Le ragioni della vocazione criminale: il riscatto da una situazione economica non brillante, l’altare del facile successo dopo la polvere della miseria. Ma questo prologo giustifica il protagonista? Ovvio che no, però il fascino che egli emana è indubbio – d’altronde tutto il cinema gangster fa perno su personaggi dotati di fascino malato. Merito di James Cagney, perfetto con quella faccia da schiaffi, concentrato di sfrontatezza e disperazione, di cui non si dimenticano il pompelmo spiaccicato sul volto della pupa Clarke e il finale amarissimo ed ineluttabile. Quel cadavere legato ed immoto che casca rigido sull’uscio della casa, quando tutto sembrava recuperabile, ha un qualcosa di crudele. Pur essendo un personaggio del tutto discutibile, Tom ha una sua drammaticità epica che lo rende un (anti)eroe dal destino inevitabile, tragico, aperto ad una vendetta che, molto probabilmente, o verrà servita fredda o non vedrà mai la luce. Grandissimo Wellman.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta