Regia di Mario Siciliano vedi scheda film
Mario Siciliano, già regista di un paio di spaghetti western dai toni cupi, cerca di cavalcare i successi della saga Trinità con questa sua versione apocrifa che oltre al personaggio di Barboni richiama anche quello del pistolero del duo Parolini/Carnimeo. Giova subito premettere che i due pistoleri nulla hanno a che spartire con i due pistoleri che hanno fanno la storia del genere da cui riprendono il nome.
Il Trinità di Siciliano così si chiama perché viene da Trinidad. Gli da corpo l'inglese Harry Baird, curiosamente di colore e nel ruolo di protagonista (scelta di grande interesse questa e fino a qualche anno prima impensabile, si pensi che uno dei primi colored protagonisti del cinema di genere era stato, appena quattro anni prima, il protagonista de La Notte dei Morti Viventi). Lo supporta l'acrobatico Alberto Dell'Acqua (ritorna al ruolo di co-protagonista), il cui personaggio si chiama Sartana solo per accalappiare pubblico, quando poi non lo ricorda neppure lontanamente né di caratterizzazione né di vestiti. I due vivono un classico rapporto di odio-amore stile cane e gatto, sulla scia delle caratterizzazioni Spencer-Hill, ma alla fine uniscono le loro forze. Se la dovranno vedere con un bel lotto di caratteristi, tra i quali si rivede "faina" Marano, che qua fa El Tigre (un messicano che ruggisce stile una tigre e che guida un manipolo di trenta "cialtroni" messicani), Lars Bloch, Stelio Candelli (risposta italiana a Kirk Douglas) ed Enzo Andronico. Piccola particina per la bella Daniela Giordano (la donna dei sogni di Trinità), a cui è affidato il ruolo della giovane che fa gli occhi dolci e rapisce il cuore di Trinità che, complice qualche bottiglia di vino, finisce sempre per destinarle i proventi dei reati commessi con Sartana, versando anche i soldi di quest'ultimo.
Siciliano, a differenza di altri colleghi del periodo, opta, insieme allo sceneggiatore Bolzoni, per un taglio comicarello, ma non votato alla parodia. Alla fine esce fuori un prodotto che non è tra i peggiori, ma che ha poca forza, sia a livello di storia (risibile e non innovativa) sia a livello di trovate registiche. Peralto termina con un brutto finale con una lunghissima scazzottata dove volano anche parole in romanesco e dove la comicità volge quasi alla parodia.
Nel complesso si lascia vedere, d'accordo, ma allo stesso modo si lascia anche dimenticare a stretto giro di posta. Bene la fotografia, allegra ma incapace di registrarsi nella memoria la colonna sonora. Mediocre, ma non pessimo.
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