Traduzione italiana del titolo originale forse più gradevole all'orecchio, ma inesatta: non si tratta di una sinfonia, non c'è un'intera orchestra, ma di una sonata, ci sono solo due strumenti: madre e figlia.
Film di sceneggiatura e di idee, sono affascinanti i temi proposti da Bergman: in primo piano indubbiamente il rapporto madre-figlia, ma molto importante è anche come molto spesso la grandezza artistica sia costruita sulla sofferenza di coloro che circondano la persona eletta, così come le piramidi egiziane hanno le fondamenta sul sangue e sulla vita di innumerevoli piccoli uomini di nessun valore storico. La madre, illustre pianista, interpretata da Ingrid Bergman, fedifraga, assente, egocentrica, sembra uscire sconfitta dal confronto, almeno da un punto di vista morale, ma la considerazione che le vette artistiche siano di per sé frutto di completa dedizione e di coltivazione del proprio io, pone almeno il problema se sia accettabile mettere in preventivo il dolore di persone che nulla hanno da dare al progresso spirituale dell'umanità pur di ottenere risultati eclatanti da coloro dotati di capacità eccezionali.
Ingrid Bergman spadroneggia nella prima metà della pellicola, mettendo leggermente in ombra Liv Ullmann, che si rifà però ampiamente nella seconda parte. Due ottime interpretazioni, apprezzabili per motivi diversi, come lo sono quelle di Lena Nyman e Halvark Bjork, ridotti però a ruoli di onestissimi comprimari.
Il film fu subissato di premi, circa una decina, e di due nomination agli Oscar.
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