Regia di Alain Tanner vedi scheda film
Un uomo e una donna si sposano dopo uno scambio di corrispondenza, senza essersi mai visti di persona. È la stessa storia di La mia droga si chiama Julie, e Tanner ci tiene che lo spettatore se ne accorga: anche qui la protagonista si chiama Julie. Ma il suo viaggio si svolge in direzione opposta: nel film di Truffaut la Deneuve approdava nella colonia francese di Réunion (al largo del Madagascar), mentre questa Julie proviene da un’altra isola dell’Oceano Indiano (appunto Rose Hill, nelle Mauritius) e arriva in Svizzera. Suo marito è un maturo agricoltore, lei non sa adattarsi alla vita che le viene offerta e presto lo lascia per il figlio di un industriale: tutto ciò non ce la rende molto simpatica. A suscitare simpatia è invece il giovane, che per lei sacrifica tutto quando suo padre provvede a far valere la legge sull’immigrazione (che esisteva anche prima, ma che in assenza di pressioni la polizia non si curava di applicare) e la fa espellere. Il finale è un po’ brusco e didascalico, ma il film ha il merito di sfuggire alla tentazione del manicheismo.
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