Regia di Stephen Frears vedi scheda film
Quanto c’è bisogno di un eroe, una guida, una figura a cui fare riferimento? Le religioni si fondano sì su concetti trascendenti, ma quanto varrebbero se non ci fossero figure-tramite, messaggeri che si collocano tra l’immanente e il divino?. Perché c’è sempre bisogno di dare un volto all’incredibile, di dare forma a un ideale. Non è che un’altra manifestazione del materialismo che guida le nostre vite. E questo volto (Andy Garcia nel film) deve essere anche quello giusto, la storia dietro ogni cicatrice deve essere quella giusta. Dustin Hoffman non può essere l’eroe, è troppo difettoso, troppo anonimo, troppo vero. E nella sua autenticità come essere umano vive il suo eroismo che si palesa infine nell’ammettere la propria inadeguatezza, riuscendo a sgretolare il castello di menzogne perfino dell’arrivista Geena Davis, un’altra vittima in fondo: crede di strumentalizzare, invece è lei stessa lo strumento, si illude di poter muovere i fili, invece non è che un altro burattino (al pari degli altri due) di questa farsa che è la nostra esistenza.
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