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Il grande cocomero

Regia di Francesca Archibugi vedi scheda film

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La recensione su Il grande cocomero

di LorCio
8 stelle

“Come mai hai dormito qui?”. “Sperimentavo”. Se uno volesse delineare al meglio lo scopo della missione del protagonista del terzo film di Francesca Archibugi, dovrebbe partire da questo scambio di battute tra egli stesso e il suo superiore (bella prova di Gigi Reder). Arturo – la cui esperienza raccontata nel film è ispirata a quella di Marco Lombardo Radice – lavora alla neuropsichiatria a stretto contatto con bambini ed adolescenti malati. La sua sfida professionale la trova in Pippi (la straordinaria esordiente Alessia Fugardi), una ragazza che soffre di crisi epilettiche, ma il cui disagio è in realtà più profondo e cerebrale (grande Anna Galiena come madre presente ed assente al contempo). La vince, la salva, sperimenta una terapia alternativa.

 

La Archibugi firma il suo film migliore con questa storia del quotidiano di pazienti borderline e di medici pioneristici e sensibili. In fondo, è una commedia agrodolce in cui la famosa zucca di Linus è attesa come un segno di speranza e di salvataggio. Sofferto ed emozionante, crudo e dolce al contempo, è il racconto, attento e partecipe, del percorso di una cura sperimentale ed innovativa, nella quale si privilegia il rapporto umano ai referti medici, pervaso da una sottile aurea di malinconica sfiducia verso le istituzioni – la rappresentazione dell’ambiente ospedaliero dovrebbe far mettere le mani nei capelli.

 

È un film vincente, e non è banale tra tanti medici nostrani che depongono le armi per mancanza di mezzi o di spinte interiori, se vogliamo anche esemplare nella moralità che trasmette. La Archibugi si dimostra sapiente regista di bambini e si inserisce degnamente nella scia aperta da Luigi Comencini: il suo è uno sguardo sull’infanzia limpido e pulito, rispettoso e intelligente. Il coro de La donna cannone non si dimentica, ma neanche il funerale della bambina, con il prete (un bravo Victor Cavallo) che legge L’idiota e chiede a Dio un tribolato e penoso “perché?”. Battista Lena e Roberto Gatto in forma, ispiratissimi, possono contare sulla malinconica tromba di Enrico Rava e sullo struggente sax di Stefano Di Battista.

 

Splendido Sergio Castellitto, fantastico nel ritratto sensibile e appassionato di Arturo, uomo che ha immolato la propria vita privata alla professione e che lavora con i bimbi quasi per espiare il fantasma di un aborto. Per lui, Pippi diventa un motivo per alzarsi la mattina, una cosa che cercava da tanto tempo. Ma a lasciare il segno è anche una strepitosa Laura Betti, nei panni inquietanti di una piccola matrona, caposala che guida il reparto con rabbia e lamento, che rimugina sulle ferie arretrate, con acuti di isterica follia. La scena in cui getta il cane di Pippi, Stronzo, dalla finestra è davvero paurosa. Ed è tristissima quella in cui, sotto la pioggia, in attesa di attraversare la strada, le si rompe la scatola del detersivo.

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