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Full Metal Jacket

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Full Metal Jacket

di Gangs 87
8 stelle

Come si fa a diventare un uomo di guerra? Come si può non soccombere sotto il peso dei sensi di colpa, della paura e del ricordo? Ad addestrare i futuri soldati ci pensa il sergente Hartman. Sotto il suo comando le reclute vengono insultate, schiavizzate, indotte al controllo, private delle emozioni. Ma non sempre certi metodi funzionano e non sempre gli uomini riescono a trasformarsi in macchine da guerra. Solo alcuni verranno spediti in Vietnam e solo pochi (forse) torneranno a casa.

 

La guerra del Vietnam è senza dubbio una delle peggiori che il mondo ricordi. Entrata nell’immaginario collettivo degli americani come il combattimento più efferato che ha riportato gli strascichi psicologici peggiori (non che le conseguenze delle guerre debbano essere classificate). È stata raccontata in molti film, in molti modi ma la visione di Stanley Kubrick è sicuramente quella più celebrale, quella che più esamina il pensiero intrinseco relativo alla reazione della mente umana al conflitto e al nazionalismo.

 

Il suo racconto parte dall’addestramento che conduce lo spettatore nella “creazione” del soldato, in quella spaventosa transizione che si svolge tra i ragazzi arruolati, mostrando qualcosa di estremo quanto sconvolgente; ancora più forte di ciò che si immagina: perdere l'umanità per farsi assorbire totalmente dalle motivazioni belliche. Come anticipato nel suo primo lungometraggio Paura e desiderio, Kubrick non usa mezzi termini per descrivere la follia generata dai conflitti bellici e da tutto l’ambiente che gli ruota intorno. L’effetto che si genera nella mente umana e le drammatiche conseguenze a cui si va incontro.

 

Nella prima parte del film, tutto è reso ancora più angosciante e claustrofobico dal connubio esplosivo tra Ronald Lee Ermey (Hartman) e Vincent D'Onofrio (palla di lardo), tra sguardi di implorazione e sadismo gratuito, rendono la prima parte difficile da assimilare perché il frutto di tutta la potenza dell’odio che si materializza tra i due, collocando lo spettatore in uno stadio di ansia perenne che svanisce totalmente solo nella seconda parte creando la netta sensazione di una divisione piuttosto concreta tra la prima e la seconda parte.

 

In questa seconda parte si perde l’effetto mentale e psicologico della prima e il tutto diventa più realistico. Kubrick ci porta tra le macerie mostrandoci la concretezza della guerra, specchio di una società allo sbaraglio, presagio funesto di un futuro neanche troppo prossimo in cui la guerra diventerà strumento lecito di baratto.

 

Full Metal Jacket è di Kubrick Il film più introspettivo e allo stesso tempo più veritiero, soprattutto per l'aria sinistra che si respira per tutta la durata; quella sua capacità e caparbietà di dirigere un film dall'alto tasso di provocazione mettendo in luce gli aspetti più macabri e spogliandoli totalmente della corazza del perbenismo e della falsità. Ce ne aveva dato già un assaggio con Orizzonti di gloria prima e con Il dottor Stranamore poi ma con questa pellicola sembra voler concretizzare ogni sue pensiero contro l’assuefazione che genera il potere, quello stato di alterazione in cui anche ciò che è folle finisce per sembrare lecito e giustificato.

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