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Full Metal Jacket

Regia di Stanley Kubrick vedi scheda film

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La recensione su Full Metal Jacket

di Souther78
10 stelle

Riprendendo temi già accennati in Barry Lyndon, qui Kubrick sviluppa la sua narrativa antimilitarista e descrive senza troppi fronzoli i meccanismi di trasformazione di pacifici ragazzi in assassini istituzionalizzati, cui inculcare valori artificiali. Il tutto narrato dalla prospettiva di chi sceglie di non farne parte.

Su Full Metal Jacket si è detto tutto, quindi difficile aggiungere altro.

Per quanto mi riguarda, nella filmografia del suo autore è superato soltanto da Barry Lyndon, ed entrambi - tra l'altro - parlano di guerra. Lo fanno in modi molto differenti, e con approcci variegati, ma pur sempre ruotando attorno al comune denominatore: la guerra è un male, per lo più inflitto da chi non lo subisce e corroborato da persone ottuse. Al soldato non sono concessi dubbi nè incertezze, e la sua umanità deve essere alternativamente annullata o strumentalizzata, così da suscitare senso di odio nei confronti del nemico e adesione a un ideale del tutto effimero.

 

Joker, come Redmond Barry, non riesce ad adattarsi alla vita militare acriticamente, come gli viene richiesto: in un modo o nell'altro, entrambi si sottraggono al naturale destino cui andrebbero incontro combattendo.

 

Non ci sono eroi, qui, ma il protagonista si eleva vistosamente rispetto ai commilitoni, tanto da scegliere di muoversi come un osservatore della guerra, anzichè come un suo artefice. Questo gli attirerà odi e contrasti, specie dai superiori: il regista sembra suggerire che il "peccato" dei soldati semplici sia quello di essere ingenui, oppure anche semplicemente poveri o sciocchi, mentre mano a mano che si salgono le gerarchie si percepisce l'adesione, sia pure ottusa, al sistema esercito e guerra. L'ignoranza e la stupidità gettano le basi per la manipolazione, che consentirà quindi ai governanti e ai loro comandanti di controllare masse intere, gettandole in conflitti senza senso dove a uscire sconfitta sarà sempre e solo l'umanità, in tutti i sensi.

 

Alcuni, forse anche lo stesso R. Lee Ermey, considerano quest'opera come una esaltazione dello spirito militare, mentre è vero l'opposto. Qui emerge, ancora una volta, la tematica dell'immedesimazione: ciascuno vede (almeno in parte) ciò che vuole vedere in un film.

 

La struttura narrativa bipartita conduce lo spettatore per mano attraverso il processo di indottrinamento comunemente noto come "addestramento": è proprio lì che si trasformano ragazzi pacifici in violenti combattenti, cui viene "spiegato" mediante concetti palesemente banali e banalizzati come, chi e perchè odiare. Non è forse un caso, se nella prima parte i principali protagonisti sono tutti "bravi ragazzi", mentre dell'unico soldato semplice apparentemente "cattivo" (Animal) non vediamo l'addestramento, quasi a sottolineare come questo e le violenze belliche possano trasformare nettamente l'animo umano.

 

Ermey, appunto, era nella vita come in scena, e visse di rendita sul suo personaggio per decenni, dimostrandosi sempre coerente con lo spirito del sergente istruttore che impersonava: forse, dal suo punto di vista, il film avrebbe dovuto trasmettere, anzichè criticare, i valori di patriottismo e militarismo. 

 

E' molto significativo che il personaggio più coraggioso del film sia anche il più coscienzioso: Kubrick sembra suggerirci che proprio la consapevolezza conduce ad avere valori e assumerli a luci polari delle proprie azioni, in contrapposizione con il coraggio ostentato di chi si sente forte con un'arma in mano, ma, poi, non ha neppure il coraggio delle proprie azioni.

 

La violenza c'è, ma non è ostentata gratuitamente: è preparata, osservata, vissuta, in modo da concedere il tempo necessario a interiorizzarla. Assistiamo, quindi, a una lunga preparazione prima dell'atto finale della prima parte, e, analogamente, vediamo al rallentatore il colpo a Cowboy e lo seguiamo quindi agonizzare, così come i militari caduti sotto il fuoco del cecchino, e il cecchino stesso. Uccidere non è poi cosa da poco, e Kubrick lo testimonia mostrandoci l'umanità che si cela dietro le divise e le bandiere. I nemici sono quelli che noi consideriamo tali.

 

Eyes Wide Shut, sotto molti profili, non sembra un film di Kubrick, e in effetti la sua curiosa scomparsa proprio prima dell'uscita del film (film che, casualmente, tratta di riti massonico-orgiastici tra vip e politici di altissimo livello, come peraltro il caso Epstein ha reso di pubblico dominio) permette di chiedersi quale sarebbe stato il suo taglio definitivo. Questo, invece, rimane l'ultimo film curato dall'inizio alla fine dall'autore, compreso non solo il montaggio finale ma anche il doppiaggio nei paesi dove ciò si usa. Non ci sono note stonate, e la tecnica registica sembra qui giungere al suo apice.

 

Dialoghi entrati nella storia del cinema (peccato per lo svilimento nostrano del riferimento televisivo a Gomer Pile, che viene trasformato in "soldato palla di lardo"), scenografie incredibili (specie non essendo il Vietnam), attori in stato di grazia, trama avvincente, musiche e motivetti di grande impatto, che si imprimono nella memoria. Sicuramente si può considerare il vero canto del cigno del maestro del cinema, a chiusura ideale del suo ventennio d'oro apertosi con 2001: Odissea nello spazio,e che ha regalato al mondo anche Barry Lyndon e Shining

 

Purtroppo molti continueranno a vederci solo un piacevole film di guerra, mentre si tratta di una delle più importanti opere antimilitariste nella storia del cinema, e sicuramente della migliore mai vista sul grande schermo.

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