Regia di Max Ophüls vedi scheda film
Il piacere è il volto sorridente e fragile del bene, che si accompagna allegramente alla giovinezza, si confronta seriamente con la purezza, e si scontra drammaticamente con la morte. Questa trilogia sull’argomento, che Max Ophüls trae da Guy de Maupassant, presenta tre ritratti dello stesso fiore, ora appassito, ora rinato, ora privato della freschezza e dei colori e trasformato in un robusto sempreverde. La vecchiaia lo riduce ad un cimelio della nostalgia, di fronte al quale è penoso inchinarsi; il ricordo dell’innocenza gli fornisce una coscienza, che predispone l’animo appassionato al culto religioso dell’amore e della bellezza; il dolore, infine, lo eterna e lo sublima, trasformando il trasporto dei sensi in una solenne ed incondizionata devozione. In nessun momento della sua storia in mezzo agli uomini, questo gioiello cessa di essere prezioso, anche se cambia la gradazione della luce che lo rende scintillante: a illuminarlo è sempre lo stesso viscerale attaccamento alla vita, che, però, al variare dell’età e delle circostanze, attraversa tutti i diversi registri di poesia, dalla ballata al carme. La regia di Ophüls riesce a tradurre cinematograficamente il lirismo della parola scritta, quel ritmo danzante che anima il pensiero come il battito del cuore, e quei giochi di rime che impennano i versi come repentini svolazzi della gioia. L’inquietudine è l’onda di un desiderio ardente che si frange contro gli scogli dell’esistenza; l’umanità è come un oceano increspato da venti contrastanti, e questo capolavoro dello schermo riesce ad isolare, nel turbinio di una moltitudine fremente e smaniosa, quei singoli vortici in cui un’energia travolgente ed impetuosa circonda un profondo ed oscuro abisso di tristezza.
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