Regia di Anthony Ascott (Giuliano Carnimeo) vedi scheda film
Un film corale con diversi tra i nomi migliori e le faccie più belle di molti western nostrani. Gianni Garko, Frank Wolf, Klaus Kinski, Gordon Mitchell, Federico Boido, Josè Torres, Sal Borgese e Ettore Manni, i più celebri. Ognuno calato in abiti più o meno consoni al proprio clichè, si mettono al servizio del “caos narrativo” che alcuni tra i più bizzarri Spaghetti-Western hanno adottato come estetica e pure poetica. La trama, che s’addentra nel giallo visto il mistero da svelare, è la più semplice, ma la più divertente: l’eroe, che poi è un anti-eroe, deve dimostrare la sua innocenza, e per farlo deve da un lato cercare e stanare il vero colpevole, e dall’altro superare le famose prove del “viaggio dell’eroe”, che qui hanno il volto dei bounty killer che vogllino la testa di Sartana.
Avvolto nel suo classico vestito nero, che ha creato un vero e proprio archetipo western dopo lo Straniero di Eastwood, a riconferma della maturità dei tempi per ricreare i Miti abbinandoli alla loro fruizione immaginifica, Gianni Garko ritorna nel secondo film ufficiale della serie di Sartana. Lo fa sprezzante di ogni regola, perchè il bravo Carmineo riesce a introdurre il personaggio di Sartana in un grande circo western fatto di ironie, di bizzarrie e stravanganze che non solo danno pepe al genere, ma ne aiutano la propria codificazione. Lo Spaghetti-W è dopotutto, un vero e proprio genere cinematografico, e sarebbe il caso che la critica ufficiale ne riconoscesse il vero ruolo. A parte il sadismo e la violenza espliciti che qui sono molto latitanti anche perchè se no avrebbe cozzato con lo spirito gogliardico della pellicola, vi troviamo molti topoi del genere: il saloon dove si gioca a poker, le giocate e le puntate, l’assenza di un personaggio femminile definito, due o più compari che tra loro non si fidano, i cacciatori di taglie, il villaggio fantasma, il barbiere, il cimitero, l’assalto alla diligenza, la rapina alla banca, la notte in prigione, gli immancabili duelli, e l’assoluta assenza degli indiani (a parte Shadow che è più meticcio che altro). Il tutto amalgamato e unito dal filo conduttore evidentissimo di tutto il film: il gioco delle carte. E con questo motivo, quello della partita, il film porta con sè tutta la sua area semantica fatta appunto dal gioco, dal rischio, dall’azzardo, dalla partita, dal trucco, dalll’illusione. Ed è proprio con questa chiave di lettura che va interpretata l’anima canaglia sia del bondiano Sartana che di tutta la pellicola di Carmineo. Ed è proprio sul trucco e sull’illusione che il regista fonda alcune delle scene più belle: una su tutte quella del barbiere, dove l’idea dell’occhio ingannato (tipica poi di Dario Argento) è evidentissima, anzi quasi teorizzata alla perfezione. Ma tutto il film è comunque pervaso da una caratterizzante idea iperrealista, bizzarra, anarchica si potrebbe dire (come certe soluzioni visive, o di montaggi, o nei movimenti della camera quando qualcuno viene freddato), che ne fa la sua felicità.
L’unico neo che mi vien di individuare in un bel prodotto risemantizzante del genere, è l’utilizzo di certi attori: fugace la parte di Federico Boido, alias Rick Boyd che credo essere una delle faccie migliori da Spaghetti-W; ancor più fugace e credo inutile nell’economia della storia, quella di Gordon Mitchell, che se non altro è il grande Gordon e ci voleva (oltre che essere l’ideatore e proprietario del Cave Studio Film: il paesino western dalla riconoscibilissima chiesa bianca, costruito a Cave, fuori Roma e teatro della maggiorparte dei westren all’italiana di produzione minore); e infine il generoso Klaus Kinski, che qui alla fine non è nemmeno un vero e proprio cattivo, ma ci piace pensarlo. Per loro tre avrei dato parti più grosse, e soprattutto più caratterizzate, a costo di eliminare qualche nome. Ma dopotutto il film presenta più pregi che difetti, con continue incursioni in generi altri, come il giallo su tutti, e quindi il poliziesco per via dell’indagine di Sartana, ma anche l’horror con la gustosissima scena dell’organo che suona da solo. É uno dei gioellini del nostro Spaghetti, e sebbene non sia perfetto, ci piace proprio.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta