Regia di Martin Ritt vedi scheda film
In questo film, che trae spunto dalle opere di William Faulkner, la grande anima del romanzo americano, fatta di saghe familiari ed ideali di libertà, incespica, purtroppo, nel machismo patriarcale di Will Varner (Orson Welles) ed in quello selvaggio e divistico di Ben Quick (Paul Newman). Il racconto è comunque forte, attraversato dai contrasti tra i sessi e le generazioni, e sottolineato dalla esplicita rivendicazione della dignità individuale; però tutta la dialettica, che a tratti segue - con benefici effetti cinematografici - le impennate dell'istinto, si perde alla fine in un tranquillo happy ending hollywoodiano, tanto scontato quanto incoerente col resto della storia. Il facile ed improvviso trionfo del buonismo, del perdono incondizionato ed universale, del giusto ordine del mondo, spazza via tutti i conflitti, senza però risolverli; anzi, ne azzera il significato, dissolvendoli, senza un perché, come gli incubi di una notte tempestosa che svaniscono al risveglio. "La lunga estate calda" è un dramma sociologico che si chiude, in maniera innaturale, con un inno all'amore che vince su ogni cosa: una vittoria che, stranamente, non appartiene alla guerra che l'ha preceduta.
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