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La ragazza con la pistola

Regia di Mario Monicelli vedi scheda film

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La recensione su La ragazza con la pistola

di degoffro
8 stelle

Negli anni in cui Michelangelo Antonioni scopriva la Swinging London nel suo epocale “Blow up”, anche la sua musa, Monica Vitti, si trasferiva a Londra nell’anno di grazia 1968 (sarà un caso?), abbandonava, forse definitivamente, i drammi esistenziali che l’avevano resa celebre e si convertiva alla commedia brillante e vivace sotto la guida dell’esperto e pungente Mario Monicelli, aprendosi una nuova carriera, non più sotto il segno della disperazione, ma sotto quello, più leggero, distensivo e certo più appagante, della risata. La Vitti, davvero perfetta in un ruolo comico ai limiti della macchietta (e questa è stata una grande e geniale intuizione di Monicelli) interpreta Assunta, giovane sicula dal look (uno dei punti di forza del film) quanto meno esilarante: tutta di nero vestita con una lunga treccia ovviamente nera. Rapita da Vincenzo Maccaluso (grandissimo Carlo Giuffrè, capace di riprodurre alla perfezione tutti i cliché e le tipiche caratteristiche dell’uomo siculo, senza mai cadere nel grossolano) per errore (“Nella disgrazia mi poteva capitare anche di peggio”, sono le sue parole, una volta scoperto che i suoi uomini hanno preso la donna sbagliata), Assunta, che è segretamente innamorata di lui, si lascia sedurre volentieri. Ma il giorno dopo Vincenzo parte per Londra per evitare le conseguenze del suo gesto, leggi un matrimonio riparatore. Sedotta ed abbandonata, nonché costretta a difendere il suo onore (e il coro formato dalla mamma e dalle sorelle assillanti e ossessionanti che, ciclicamente, come un incubo, ritornano a turbare i suoi pensieri e la sua esistenza è davvero irresistibile), prende il treno per l'Inghilterra armata di una pistola. Trova l'indirizzo di Vincenzo ma questi riesce a sfuggire. Un po' lavorando come cameriera e un po' aiutata da occasionali compagni (tra cui un simpatico “finocchio”, come lo apostrofa lei, al quale ha donato mezzo litro di sangue dopo un suo tentativo di suicidio in seguito, guarda caso, ad una delusione d’amore e che le proporrà addirittura di sposarlo), Assunta segue i movimenti di Vincenzo che, a sua volta, cerca di far perdere le sue tracce. E proprio Vincenzo, terrorizzato da una donna così testarda e orgogliosa (“Come devo fare a liberarmene? Questa mi vuole morto!”) ha l’idea di fingersi morto. Spassosissima la sequenza in cui due uomini complici di Vincenzo annunciano ad Assunta la morte del suo seduttore: l’amico di Assunta domanda chi sono quei due loschi individui e lei risponde “Cosa nostra”. Dopo di che: “Ambite a vedere la salma? Sissignore ambisco!”. Impagabile. Per Assunta, una volta accertata la morte dell’uomo che l’ha sedotta, con consueto folle ed urlante pianto sulla sua tomba, è disperazione: “Chi me lo ridarà l’onore? Con che faccia io ritorno al paese se lui è morto di morte naturale?” Ormai è sconsolata, convinta che il suo destino sia finire in Sicilia come una criminale, sepolta viva in casa con le sorelle. L’incontro con un dottore che prende a cuore il suo caso porta alla metamorfosi: da ragazza “indegna di vivere nel mondo civile, con gli istinti da selvaggia, adatta a vivere bene solo in una caverna” a poco a poco Assunta riesce a mutare la propria mentalità, si mette a studiare e a lavorare assumendo così quasi le vesti di una vera inglese (e la trasformazione del look, della capigliatura e dell’abbigliamento di Assunta è realizzata con estrema intelligenza e con un occhio particolarmente attento alla cultura e alle mode dell’epoca). Colpito da questo improvviso cambiamento ora è Vincenzo che vuole sposarla, ma chi la fa l’aspetti...Sceneggiato da Luigi Magni e Rodolfo Sonego, fotografato da Carlo Di Palma, montato da Ruggero Mastroianni, musicato da Peppino De Luca un film frizzante e allegro amatissimo anche in America (non a caso ebbe la nomination all’Oscar come miglior film straniero). Per la Vitti una consacrazione come attrice comica e premi a valanga: Nastro d’argento, David di Donatello, riconoscimento al festival di San Sebastian. Monicelli in piena rivoluzione sessantottina sta al passo con i tempi e realizza una perfetta sintesi di un’identità femminile complessa ed in via di trasformazione, rivendicando un ruolo sempre più centrale e determinante della donna nella società che va modernizzandosi, vedi l’accattivante e splendido finale in cui è Assunta ad usare l’uomo per i suoi piaceri per poi abbandonarlo, dando realizzazione alla sua convinzione per cui “il vero uomo ci deve provare, ma la vera donna si deve difendere” e costringendo Vincenzo, maschio siculo sedotto ed abbandonato (un cliché ribaltato con grande coraggio) a rendersi consapevole che qualcosa è cambiato, d’ora in poi non potrà più ottenere sempre quello che vuole. Certo a volte è esagerata l’insistenza sui più vieti luoghi comuni del sud, a tratti si rischia la caricatura e la satira qua e là si perde in una sostanza da avanspettacolo, ma la confezione è di lusso e certe battute del tipo “Tuo padre di cosa è morto? Di lupara” lasciano il segno.
Voto: 7

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