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La leggenda del Re Pescatore

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La leggenda del Re Pescatore

di Eric Draven
8 stelle

 

Ed è stavolta il turno di un film davvero portentoso, La leggenda del re pescatore di Terry Gilliam, regista che certamente non ha bisogno di presentazioni, terribile ex Monty Piyhon, autore di un capolavoro imbattibile come Brazil e attualmente sui nostri schermi con L’uomo che uccise Don Chisciotte. Un irrimediabile, irresistibile outsider, Terry.

Il quale, con questo The Fisher King (tale, infatti, il titolo originale), firmò una delle sue opere più riuscite e indimenticabili. E tra le più unanimemente apprezzate dalla Critica.

Su sceneggiatura originale, candidata agli Academy Awards, del valente Richard LaGravenese, penna elegantissima che ha firmato film come The ComedianL’uomo che sussurrava ai cavalliI ponti di Madison County, Gilliam allestisce una variopinta, dolceamara pellicola dramedy dal sofisticato, ficcante intreccio che mischia, con gusto e spericolata fantasia, in linea col collaudato suo stile visionario ed eccentrico, mirabolante e colorato, sapido umorismo nero e soave, bizzarro romanticismo magico dall’ammaliante levità favolosa. Quasi favolistica.

Film della durata corposa di due ore e diciotto minuti, uscito in Italia il 18 Ottobre del ’91 dopo aver avuto la sua rinomata prima al Festival di Venezia. Ove vinse il Leone d’argento.

Interpretato da un eccezionale duo carismatico di performers stratosferici, il grande Jeff Bridges e il mai dimenticato Robin Williams.

 

Trama...

 

Nella tentacolare giungla metropolitana di New York, spadroneggia in radio il deejay Jack Lucas che, con la sua parlantina dinamicamente carismatica e la sua frizzante verve emotivamente dinamitarda e spumeggiante, catalizza l’attenzione di migliaia di ascoltatori durante la sua programmazione notturna. Sì, on air, Jack Lucas imperversa mentre la Bug Apple è avvolta dal buio e gli abitanti della città son rintanati in lucenti, altissimi e vertiginosi grattacieli di cristallo, oppure siedono in macchina, imbottigliati nel caotico, turbolento traffico o, in totale privacy, si riposano nei quartieri periferici più sgangherati e suburbani.

Jack è un fenomeno, non si ferma davanti a nulla e spesso, nella sua smisurata, incontenibile esuberanza, va volentieri sopra le righe.

Così, su di giri, incoscientemente consiglia a un suo radioascoltatore depresso di scagliarsi contro la società capitalistica, colpevole a suo avviso di averlo ridotto nella solitudine più miseranda, e scherzosamente lo incita a compiere una strage per liberarsi di tutto il marcio e il lercio insopportabile di una frustrata vita bastarda.

La strage avviene per davvero e Jack Lucas viene licenziato in tronco.

Susseguentemente, lo vediamo in un negozio di videonoleggio assieme alla sua peperina fidanzata, Anne Napolitano (una Mercedes Ruehl premiata con l’Oscar come miglior attrice non protagonista).

Jack, ubriaco fradicio, pur sapendo di non essere stato il diretto responsabile del fattaccio sciaguratamente occorso tre anni prima, gironzola sconsolato, su e giù per il ponte di Brooklyn.  Vorrebbe suicidarsi, gettandosi in mare per morire affogato ma, nel frattempo, è distratto da alcuni homeless. A questo punto conosce fortuitamente lo strampalato, folle clochard di nome Henry Sagan, detto Parry.

E scopre, con sua dolorosa sorpresa, che Parry altri non è che il vedovo della donna uccisa proprio dal maniaco che lui aveva spronato e indotto a quell’esecrabile, madornale gesto omicida.

Così, distrutto dal senso di colpa, decide di aiutare Parry. Da qui si scatena tutto il successivo concatenarsi di eventi deliranti, fantasmagorici e funambolici di tal vicenda splendidamente narrataci, filmicamente, dall’estroso, scoppiettante Gilliam.

Ottima fotografia di Roger Pratt per un film memorabile, commovente mistione di lirico onirismo immaginifico e crudo neorealismo socio-antropologico. Ove Gilliam, ancora una volta, affina la sua poetica, scegliendo una storia di disperati loser, di uomini rovinati o forse soltanto paradossalmente illuminati dalle circostanze avverse che, attraverso la loro stralunata amicizia virile, assieme appassionatamente ricominceranno a vivere di nuovo. O forse no.

Cantando sotto la Luna di Central Park e inneggiando alla bellezza immensa di ogni esistenziale disillusione da stemperare con la grandiosa autoironia delle loro anime pure, resilienti e inviolate.

Due anime come quella di Pinocchio, due bambini-adulti trasognanti e metafisici, cantori spudoratamente innocenti delle loro invincibili, anche se irrazionali, meravigliose chimere irrefrenabili.

La leggenda del re pescatore!

Siamo dalle parti del capolavoro.

Jeff Bridges (candidato al Golden Globe) e Robin Williams (sconfitto agli Oscar solo dall’Anthony Hopkins de Il silenzio degli innocenti) giganteggiano da divertiti e divertentissimi, umanissimi gigioni.

 

 

scena

La leggenda del Re Pescatore (1991): scena

 

 

 

di Stefano Falotico

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