Regia di Terry Gilliam vedi scheda film
Non ho mai amato quella certa “visionarietà” che aleggia nei film di Terry Gilliam, quel gusto per l’immagine che sembra quasi staccarsi dalla storia per assumere una propria vitalità, estranea alla vicenda che si sta raccontando.
Eppure nonostante questo non posso non riconoscere al regista, soprattutto quando riesce a contenere questa vena di esuberante e barocco surrealismo, di avere doti fuori dal comune per l’abilità con cui riesce a narrare storie “al limite”.
Esempio per tutti questo film, in cui gli elementi fantastici si sovrappongono a una storia di ordinarie disgrazie (e follie) umane, in una composizione che può magari sconcertare ma che alla fine risulta, almeno per il sottoscritto, assolutamente vincente e convincente.
Jack Lucas (Jeff Bridges, in un personaggio lontano anni luce dal Dude Lebowsky che interpreterà pochi anni dopo) è un DJ rampante e con pochi scrupoli, e proprio quando sta per spiccare il definitivo balzo verso il successo si trova la carriera stroncata.
Accade infatti che un suo fedele ascoltatore, spronato da alcune espressioni dello stesso Jack mal interpretate (o interpretate oltre i limiti del buon senso), entra in un bar e compie una strage.
Tre anni dopo Jack è una sorta di relitto umano che riesce a restare in piedi grazie all’amore e alla devozione di Anne (Mercedes Ruhel, che per questa intepretazione vinse, e secondo me con merito, il premio Oscar) proprietaria di una videoteca, eccentrica ma profondamente innamorata del suo uomo.
Un incontro casuale porta Jack ad incrociare un barbone, Parry (Robin Williams), scoprendo che in realtà è un ex professore di storia impazzito dopo la tragica morte della moglie, avvenuta proprio per mano dello psicopatico involontariamente aizzato da Jack.
Questi desidera aiutare l’uomo in qualche maniera e quando si rende conto che Parry è innamorato di una imbranatissima segretaria, Lydia (Amanda Plummer) decide di agevolare un incontro fra i due.
La grande abilità di Gilliam sta proprio nell’utilizzo di un tono surreale e favolistico che regala fascino e originalità e una vicenda a questo punto avrebbe potuto scadere nel consueto e prevedibile.
Se nella prima parte la pellicola si rivela un po’ troppo levigata, con una ricerca dell’immagine ad effetto, richiamando quei difetti di cui ho parlato ad inizio recensione, dal momento dell’incontro con Parry il tono della storia cambia registro, passando dai monologhi di un Jack esaltato e molto sopra le righe a una serie di dialoghi ed interazioni continue (fra Jack e Parry, ma anche fra Parry e Lydia e Jack e Anne, financo fra Anne e Lydia) rivelando una poetica e una delicatezza che a tratti commuovono.
Questo sia ben chiaro, senza alcun snaturamento da parte del regista, che mantiene comunque intatto il suo stile, vedi il mondo immaginario attraversato da terrificanti visioni, che Parry (forse un diminutivo di Parsifal?) si è creato sulla base delle leggende del ciclo Arturiano, che in un’altra vita aveva insegnato come docente, visioni in cui coinvolgerà anche Jack che si ritroverà protagonista suo malgrado in una curiosa ricerca del Sacro Graal.
Effetto voluto questo passaggio dai toni freddi dell’individualismo fine a se stesso ai toni caldi dei rapporti di amore ed amicizia tra i vari protagonisti, oppure una correzione di Gilliam stesso che abbandona certi suoi barocchismi per far spazio ai sentimenti? Non azzardo alcuna ipotesi, quello che è certo è che il prodotto finale è un film che possiamo definire “bello” senza alcun dubbio di sorta.
Parry a Jack, sdraiati nel parco, di notte, mentre osservano il cielo: "Scusami se mi prendo la libertà, ma... Tu non mi sembri per niente un cuorcontento. La conosci la storia del Re Pescatore? Comincia col re da ragazzo, che doveva passare la notte nella foresta per dimostrare il suo coraggio e diventare re. E mentre passa la notte da solo è visitato da una visione sacra: nel fuoco del bivacco gli appare il Santo Graal, simbolo della grazia divina. E una voce dice al ragazzo: "Tu custodirai il Graal, onde possa guarire i cuori degli uomini". Ma il ragazzo, accecato dalla visione di una vita piena di potere, di gloria, di bellezza, in uno stato di completo stupore, si sentì per un attimo non un ragazzo, ma onnipotente come Dio: allungò la mano per prendere il Graal, e il Graal svanì lasciandogli la mano tremendamente ustionata dal fuoco. E mentre il ragazzo cresceva la ferita si approfondiva, finché un giorno per lui la vita non ebbe più scopo. Non aveva più fede in nessuno, neanche in se stesso. Non poteva amare, né sentirsi amato. Era ammalato di troppa esperienza, e cominciò a morire. Un giorno un giullare entrò al castello e trovò il re da solo. Ed essendo un semplice di spirito, egli non vide il re: vide solo un uomo solo e sofferente. E chiese al re: "Che ti addolora, amico?". E il re gli rispose: "Ho sete, e vorrei un po' d'acqua per rinfrescarmi la gola". Allora il giullare prese una tazza che era accanto al letto, la riempì d'acqua e la porse al re. Ed il re, cominciando a bere, si rese conto che la piaga si era rimarginata: si guardò le mani e vide che c'era il Santo Graal, quello che aveva cercato per tutta la vita. Si volse al giullare e chiese stupito: "Come hai potuto tu trovare ciò che i miei valorosi cavalieri mai hanno trovato?". E il giullare rispose: "Io non lo so: sapevo solo che avevi sete".
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