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La leggenda del Re Pescatore

Regia di Terry Gilliam vedi scheda film

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La recensione su La leggenda del Re Pescatore

di Andreotti_Ciro
7 stelle

Favola moderna dai contenuti pseudo mielosi e con quattro protagonisti d’eccezione e in evidente stato di grazia. Robin Williams s’atteggia grazie ai suoi continui balzi d'umore e cambi di tono istrionici al quale ci ha sempre abituato, nel ruolo di un ex docente di storia medievale, caduto in disgrazia e certo che nel centro di Manatthan sia nascosto il Santo Graal. Jeff Bridges, vero protagonista della pellicola, nei panni di un DJ menefreghista che fa affiorare immediatamente il ricordo del Barry Champlain interpretato appena tre anni prima da Eric Bogosian in Talk Radio (id.; 1988). Sfrontato, incapace di misurare le parole in diretta e decisamente ego riferito. Ma al tempo stesso in grado, ed è qui che entra in gioco il lato più onirico e mieloso di Terry Gilliam, di cercare di aiutare un senza tetto che lo ha soccorso e che stravede per una normale, per non dire scialba, impiegata, perfettamente caratterizzata da Amanda Plummer. Per concludere con Mercedes Ruehl, gestrice di un videonoleggio e nuova compagna di Lucas.

 

Mixando tutti questi componenti si giunge a capire cosa possa migliorare la vita di un uomo dell’allora XX secolo. Fagocitato dal mondo capitalistico e preda di una velocità che non lascia il tempo per riflettere in merito alla direzione che sta assumendo la sua vita. Ogni protagonista riesce a tracciare perfettamente il solco sul quale Gilliam, aiutato dallo sceneggiatore Richard LaGravenese, vuole che ci si fermi a riflettere, ovvero che solamente aiutandosi a vicenda, esattamente come Perry e Jack, si può arrivare a conoscere quale sia la nostra collocazione.

 

(Pluri)candidato alla notte degli Oscar 1992 e vincitore della statuetta per l’eccellente interpretazione di Mercedes Ruehl. Il film di Gilliam riesce a far dimenticare il precedente e fallimentare flop al botteghino de Le Avventure del Barone di Munchausen (The Adventures of Baron Munchausen; 1988). L’ex Monty Python riesce infatti a confezionare una pellicola che punta per questa volta tutto sulle interpretazioni dei singoli e molto meno sugli effetti speciali, sempre avvalendosi delle sue riprese inclinate, distorte e, come spesso accade, impiegando anche la “morale” o sguardo, “del folle” vero marchio di fabbrica di quasi ogni suo film, ovvero quella visione onirica di chi una volta caduto in disgrazia e impazzito è forse in grado di giungere più facilmente a una giusta comprensione del mondo che ci circonda.

 

Pellicola alla fine difficile da imprigionare in un solo genere e capace di muoversi anche su più piani narrativi; passando dalla commedia, al dramma fino al fantasy. Film che anche per questo merita di essere visto fino a una conclusione assolutamente non scontata.

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