Regia di Pier Paolo Pasolini vedi scheda film
“Ma t'immaggini Accattone 'nnamorato, aó!”
“Ma guarda, per piacere, le vedo 'ste cose! C'ho l'occhio lungo. Ma poi chi è Accattone, er duro de Roma?! Ma guarda che in fonno in fonno Accattone è 'o stupido!”
“Ma guarda che Accattone ce l'ha ner sangue il mestiere de pappone. Er pane è pane! Lo sai che te dico? Che nun passano dieci ggiorni che vedemo Stella 'n piazza a batte'! Ce vòi scommette' qualche cosa?”
“Quello che te pare a te!”
Vittorio, soprannominato Accattone (Franco Citti) a sottolinearne l'inclinazione più evidente, è un giovanotto di borgata in un Secondo Dopoguerra che vede l'Italia reagire come può. La fascia sociale del sottoproletariato, la più infima e dimenticata, generalmente si arrangia con lavori umili e sudore oppure con la piccola delinquenza e la vagabondaggine di gruppo con gli amici di borgata; Accattone non ha dubbi: non vuole lavorare, fa piccole scommesse per racimolare qualche soldo e sfrutta una prostituta, Maddalena (Silvana Corsini), peraltro fregata ad un poco di buono di Torre Annunziata.
Quando questa finisce per vie traverse in carcere, Accattone si vede privato del suo unico sostentamento economico. Ben lontano dal desiderio di redimersi, tenta prima inutilmente di ricontattare moglie e figlio piccolo, poi conosce Stella (Franca Pasut), una ragazza a modo, un'innocente, che ha finora ricevuto dalla vita solo miseria e sofferenze. Quello che nasce in Accattone, spacciato con più o meno sincerità per amore, è forse solo la rassicurante sensazione di poter di nuovo tirare a campare giorno per giorno facendosi mantenere e faticando il meno possibile, se non niente.
Scarso come pappone, inerme come lavoratore, sfortunato come ladro, Accattone potrà dire “Mó sto bbene!” solo in un modo...
“Accattone”, girato nel 1961,è il primo lungometraggio di Pier Paolo Pasolini, ben accolto dalla critica ma immediatamente osteggiato dalla censura, come spesso è capitato alle opere dell'intellettuale cresciuto fra Bologna e il Friuli. I luoghi e i personaggi centrali sono attinti dai primi romanzi di Pasolini “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, mentre per la rappresentazione va a mutuare alcune tradizioni neorealiste, su tutte il proposito di ingaggiare quasi esclusivamente attori non professionisti affinché recitino niente più che le parti di loro stessi; ma Pasolini va oltre: i suoi ragazzi di vita sono spontanei e veraci, però parlano curiosamente con un lessico fin troppo alto, forti anche di conoscenze di un livello eccessivo per la loro condizione sociale. Sembra quasi che, nell'intento di darne una raffigurazione distaccata ma anche di comprensivo compatimento da parte del regista e del collaboratore Sergio Citti, si sia voluto “nobilitarli”, evitando inoltre un confronto impari con le altre strutture sociali, mai menzionate o presentate nel film, se non nelle sporadiche vesti dei poliziotti. Ma sono solo supposizioni, beninteso.
Per quanto riguarda lo stile, Pasolini era ai tempi un neofita del cinema e la sua tecnica, rigida e non troppo sicura, venne impopolarmente scherzata dall'amico e celeberrimo regista Federico Fellini, che all'ultimo rifiutò di produrre il film. In effetti le inquadrature non brillano (così come il montaggio curato da Nino Baragli), ma ciò che conta è lo sguardo, che segue con attenzione e cura i protagonisti, i loro dialoghi, le loro gestualità, finendo col crearvi intorno un'aura al contempo mistica ed epica col contributo impagabile di Tonino Delli Colli alla fotografia e delle musiche di Johann Sebastian Bach. Inoltre Franco Citti, esordiente e futuro feticcio di Pasolini, con l'”aiuto” in fase di doppiaggio di Paolo Ferrari funziona più che bene nel ritrarre un antieroe quotidiano, senza volontà di riscatto e senza speranza. Il film d'esordio di Pasolini è imperfetto, ma magnetico e promettente.
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