Regia di John Huston vedi scheda film
Storia di un colpo, semplice ma colossale: il “dottore” (Sam Jaffe) esce di carcere e contatta una serie di malviventi piccoli e grandi (tra cui il solito Starling Hayden) oltre naturalmente ad un finanziatore, il losco e fedifrago avvocato Emmerich (Louis Calhern). Il colpo riesce, ma l’attenzione che il regista, John Huston, pone allo scasso in sé è indicativa del fatto che non sia l’atto della rapina il clou del film. L’elemento fondamentale di questo film (noir fino a un certo punto) sta nel post-colpo: una serie di malviventi, abituati a vivere come talpe, al momento di entrare in contatto con la comunità (parenti, giornalisti, poliziotti, gente comune) si sfalda completamente, finendo per far saltare la perfetta progettazione architettata dal “dottore”.
Il film, uno dei più importanti e famosi degli anni ’50, è spacciato per noir, quando invece non lo è: nonostante i chiaroscuri delle atmosfere, whisky e sigarette a gogò e poliziotti corrotti, in realtà manca dell’elemento fondamentale di ogni film noir: la femme fatale. Le donne di “Giungla d’asfalto” sono premurose (la moglie dello scassinatore), ingenue (la moglie di Emmerich), credulone (Angela, interpretata da un’algida Monroe, l’amante dell’avvocato), o, al massimo, succubi, come la fiamma di Dix. La fatalità femminea, semmai, è involontaria, e veste i panni di una “Lolita” improvvisata, quella ragazzina ancheggiante e piena di vita (tra l’altro una sosia perfetta di Patricia Arquette), che provocherà l’arresto del “dottore”.
“Giungla d’asfalto” è un film, come detto, fondamentale per la storia della cinematografia, per tanti inelencabili ragioni. Ed è un film che va visto perché Huston, coi suoi campi medi, con le riprese in verticale dell’inizio e con tanti altri accorgimenti, confeziona un ottimo film, mostrando la sua enorme cifra stilistica.
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