Regia di John Huston vedi scheda film
Il fascino spogliato del mito. Piccoli mascalzoni, anziché grandi eroi. Bamboline goffe e acerbe, al posto delle dive fatali. Un colpo criminale non particolarmente ingegnoso, in cui tutto va a rotoli, compreso il tentativo di doppio gioco. Questo film è l’anti-classico per eccellenza, che sfida la tradizionale perfezione formale del noir pur senza rinunciare alla ricercatezza della narrazione indiretta, all’eleganza delle allusioni, alla luminosa bellezza dei sogni che brillano negli occhi. In un mondo fatto veramente male, ciò che resta è solo l’illusione di poter realizzare qualcosa di importante, fosse pure un clamoroso furto di gioielli, o un grosso imbroglio, perché anche questi sono ambiziosi progetti che servono ad affermare la propria presenza creatrice nel turbinio della giungla metropolitana, e a provare la propria capacità di lottare ad armi pari contro un destino che diffonde l’infelicità e rende vana ogni cosa. Crime is the left-handed form of human endeavour: il crimine è la forma mancina dell’impresa umana, perché quando la società ci offre solo difficoltà e sfortuna, viene istintivo volerla ripagare con la stessa moneta. L’illegalità è la logica risposta all’ingiustizia, il complotto la naturale reazione alle trame della cattiva sorte; e poco importa se, in quest’ultima, tanta parte hanno avuto i nostri errori. I protagonisti di questa storia, coltivano, anziché le solite luminosi ambizioni di successo, il cupo vizio di volersi riprendere, con gli interessi, ciò che è stato loro negato: la libertà di movimento, la serenità dell’infanzia, la salute fisica, la sicurezza del benessere. Tutti, però, cercano la via più facile e, in questo modo, incorrono in una rapida e miserevole sconfitta, anziché uscire vittoriosi, come i gangster da leggenda, dal labirinto di una storia intricata e ricca di colpi di scena. A Dix, Emmerich, Doc e Gus è negato anche il decoro della resa onorevole, o della morte gloriosa: la loro vicenda comincia e finisce nella mediocrità, e percorre la piatta parabola delle mosse maldestre, delle iniziative da poveri diavoli, che puntano alla mèta senza tener conto delle condizioni della strada, né delle loro abilità di conducenti. Nelle loro mani, persino il “male” – quel dèmone che suole aggrapparsi saldamente all’anima - è una sostanza scivolosa, priva di forma, che sfugge al controllo seminando il caos, l’indecisione, il delirio. La follia del caso, che è il vivido spirito romanzesco di tutte le avventure criminali, è qui ridotta a quella semplice, squallida mancanza di lucidità che s’instaura nella mente in cui l’ingenuità si mescola alla vigliaccheria. È questa il vero rullo compressore che schiaccia ogni velleità, ogni impeto fiabesco, sottraendo al fuorilegge ogni carisma e stendendo, su ogni cosa, il manto uniforme e grigio dell’asfalto: la superficie fredda e ruvida su cui si frangono tutti gli anonimi lamenti di una città che aggredisce, terrorizza, uccide e, in, tutti i sensi possibili, immensamente soffre.
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