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La bella di Roma

Regia di Luigi Comencini vedi scheda film

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La recensione su La bella di Roma

di lamettrie
7 stelle

Si salva per alcuni grandi interpreti: Stoppa, Sordi e le due bellone, Pampanini e la Beghi. Per il resto, si distingue per la luce fosche che getta sul genere umano: i protagonisti sono tutti brutte persone, umanamente parlando. La splendida Pampanini interpreta una donna maliarda, falsa, che sa dosare tutte le lusinghe del sesso per arrivare ai propri scopi, una “locandiera” de noantri. Un’opportunista che si denuncia piena di problemi, proprio a causa del suo carattere superbo, e che non può che andare dietro a una nullità esistenziale, il pugile, che la maltratta pure, da cui si fa sedurre per la “qualità” della violenza (clichè autolesionista tipico di tante donne). Una brutta coppia, ma quella di Sordi non è migliore: il grande romano qui interpreta una delle sue parti tipiche, il donnaiolo incapace di darsi limiti. Sua moglie è l’unico personaggio positivo del film: la bellissima Luisella Beghi, star del cinema italico sin lì, che a soli 34 anni qui recita il suo ultimo film. Almeno lei ha dei valori e dell’affetto sincero; l’unico suo difetto è illudersi, dato che con un marito come quello incarnato da Sordi c’è solo da rimetterci, per l’inaffidabilità morale a tutti i livelli (che si vede anche in quanto pessimo padre). La terza coppia, che è tale solo in prospettiva, non è meno sconsolante: Paolo Stoppa magistralmente interpreta il vecchio che troppo facilmente cade vittima di infatuazione, e si fa sfruttare da chi lo seduce. La coppia, sul lavoro e in casa, la fa con la cognata, anch’essa terribile sotto il profilo umano, frustrata e invidiosa, una bravissima Lina Volonghi.

Della commedia, dunque, si mantiene la contesa amorosa verso una donna fatale, l’affresco sui vizi dell’umanità, come il lieto fine. Anche se il finale, buonista, è squallido, inficiato da quel moralismo cattolico tradizionalista (secondo cui la morale o è cattolica, o non c’è), con cui del resto un 39enne Comencini (che qui scrive anche soggetto e sceneggiatura, assieme ad altri autori) era stato premiato con il successo straordinario che l’aveva lanciato nei mesi precedenti, ovvero “Pane, amore e fantasia”, e lo stupendo “Pane, amore e gelosia”. Ritratti di un’Italia dei nonni e dei bisnonni, ormai andata, molto limitata e provinciale, ma che al deprecabile bigottismo aggiunge almeno un anelito di sana vita morale, che successivamente è stato sempre più assente. Tutto ciò rende queste pellicole delle interessanti testimonianze sociologiche dell’Italia dell’epoca, a loro modo.

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