Regia di George Lucas vedi scheda film
Lucas, al suo primo lungometraggio, ci fa sprofondare in un incubo: una società ipermaterialista dove l’uomo viene considerato esclusivamente come forza lavoro per la produzione di inquietanti automi, utilizzati poi come guardiani di un potere burocratico evanescente ed invisibile ma onnipresente e totalizzante. Le relazioni umane (soprattutto i contatti sessuali) vengono vietate in favore di una crescente ed imposta afasia, provocata dall’obbligo di consumare farmaci antidepressivi stordenti e da una attenta pianificazione a tavolino di ogni attività umana; unico rifugio consentito è l’interno di “cabine” asettiche dove ci si può sollazzare (la masturbazione è automatizzata) e concedersi la visione di programmi televisivi masochistici, oppure ricevere conforto psicologico da una voce recitante enfatici slogan. Il regista pare fare sue istanze sessantottine e prettamente europee nella messa in mostra di questi uomini schiacciati da un potere assoluto ma “gommoso” (vgs. i discorsi degli internati), seguendo anche la scia lunga delle proteste montanti nella società americana per la guerra in Vietnam, e ci introduce in mondo lattiginoso e estraniante; le influenze principali sono l’Orwell di “1984” ma anche il “Fahrenheit 451” di Bradbury (l’uso di farmaci e le “pareti-televisori”), con in surplus una vena polemica nei confronti della società consumistica, all’epoca agli albori (tutto si riduce ad un calcolo convenentistico di profitti e perdite, anche le violazioni alle regole imposte dal potere) e pronta a fagocitare la società occidentale. Ottima la ridigitalizzazione della pellicola avvenuta nel 2004, che permette di godere appieno dell’eccellente fotografia e buoni gli interpreti principali, perfettamente calati nella parte. Pessima la traduzione italiana del titolo originale (THX 1138).
Depressa.
Buona.
Convincente.
Ribelle.
Burocratico.
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