Regia di Stuart Gordon vedi scheda film
L'horror ai tempi del basso budget e dell'amore per il proprio lavoro
Una psicologa deve verificare la veridicità di ciò che dice uno scienziato chiuso in manicomio ormai da anni.
Ormai il cinema dell’orrore è caratterizzato da schemi ben precisi: si comincia con un assaggio; per mezz’ora si prosegue a mo’ si soap opera; e si finisce con una serie di apparizioni da far saltare sulla sedia; nessuna critica; nessuna anima; stesso modello per differenti soggetti. Questo film è l’emblema del cinema di genere horror quando ancora aveva un senso, un film quasi completamente libero, c’è una trama, c’è fantasia, c’è un significato, c’è un finale ben ingegnato, c’è una filosofia nel male rappresentato. Un film dove più si guarda e più si vorrebbe staccare lo sguardo, non i soliti fantasmi fatti con tremiliardi di effetti speciali che appaiono per sessanta millesimi di secondo facendo sussultare appena. Il disgusto dello sguardo che la mancanza di profondità odierna sostituisce con le torture o con l’insistenza di suoni insopportabili ed immagini truculente.
Un film con due interni e tre attori protagonisti, un bel pugno nello stomaco se si pensa ai film di oggi, se si pensa ai budget esorbitanti di ora, se si pensa che in un’ora e venti c’è di tutto e questo tutto è stato solo grazie alla libertà ed alla dedizione malgrado il budget non fosse nemmeno all’altezza di un’opera media di allora.
Insomma uno dei migliori esempi della famosa collaborazione tra Stuart Gordon e Brian Yuzna, un film congegnato perfettamente fin nei minimi particolari dove persino gli attori, malgrado non proprio all’altezza, sono posti in modo tale da essere credibili.
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