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...continuavano a chiamarlo Trinità

Regia di E. B. Clucher (Enzo Barboni) vedi scheda film

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La recensione su ...continuavano a chiamarlo Trinità

di scapigliato
8 stelle

Il successo del primo episodio lancia una rapida seconda produzione che sarà ancora più soddisfacente della prima. Gli incassi parlano chiaro in tutto il mondo, e gli stessi Bud Spencer e Terence Hill sono soliti indicare ...Continuavano a Chiamarlo Trinità come il film che davvero li lanciò popolarmente. Certo, se non ci fossero stati i primi western ad affiatarli e se non ci fosse stato il primo Trinità probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Stando così però, è indubbio individuare nel secondo Trinity il punto d’origine del fenomeno Hill-Spencer.

Per questo suo nuovo spagowestern Enzo Barboni continua sulla strada spianata dal film precedente ed amplifica il taglio farsesco dotando ogni scena di uno spunto ironico o addirittura comico-surreale. E come in tutti i sequel che si rispettino, qualcosa del secondo deve ricordare il primo. Così, mentre in Lo Chiamavano Trinità si parte con la celebre immagine di Terence Hill trascinato sul suo travoy mentre se la dorme in pieno deserto, qui si parte invece con Bud Spencer che se la cammina in pieno deserto, un deserto di sassi ritagliato in pieno Abruzzo, infuriato per lo scherzo di suo fratello che chiudeva il film precedente. Qui s’incontra con quattro buffi pistoleri tra cui l’immancabile Riccardo Pizzuti e finisce che la spunta ovviamente il grosso Bambino. Poi si stacca su una pistola che rasenta lo stesso deserto di sassi. Parte davvero la sigla d’apertura, e troviamo Trinità nella sua inconfondibile posa: sdraiato sul travoy. Anche lui s’incontrerà con i quattro pistoleri, ricalcando in parte le azioni di Bud Spencer, e subito inserendo così il film all’interno del canone comico grazie appunto al gioco della reiterazione. Il patto con il pubblico è firmato, e la promessa con esso mantenuta. I due ormai celebri attori tornano nei ruoli che aveano stregato il pubblico e promettono ancora grasse risate. E il pubblico è subito accontentato, sia per la doppia scena con i pistoleri di Pizzuti, sia per quella che segue immediatamente e vede tra i personaggi in campo pure Harry Carey Jr., attore fordiano qui in una caratterizzazione da vecchietto del west nonchè padre dei due vagabondi. Gara di rutti e rozzerie a tavola, noncuranza del pericolo quando arrivano i quattro soliti banditi di Pizzuti subito sistemati da Mamma Trinità e simpatiche vigliaccate tra famigliari soprattutto quando Trinità, la mamma e il papà inscenano il letto di morte di quest’ultimo per convincere Bambino a portarsi dietro il fratello nelle sue razzie. E così si continua, tra location nuove e vecchie, accompagnati stavolta non più dal tema di Micalizzi ma dai due fratelli De Angelis ovvero i mitici Oliver Onions qui al loro esordio in coppia, a bighellonare per il West comico di Trinità e Bambino che si spacceranno per agenti federali e dovranno poi vedersela con dei finti frati che lavorano per il corrotto affarista Parker, ovvero Emilio Delle Piane. Tra coloro che metteranno il bastone tra le ruote ai due fratelli c’è anche il maestro d’armi Benito Stefanelli nei panni del bounty-kille Stingary Smith.

Il film è tutto giocato sulla capacità comica della coppia tanto quanto dei caratteristi senza i quali il film perderebbe buonissima parte della sua anima naif, o coatta come direbbe Barboni. Infatti le successive modulazioni narrative sono tutte vere e proprie gag ragionate e dirette con maestria, con rigore ritmico e con quell’originalità che all’epoca fece applaudire il film in tutto il mondo. Non ci sono scene di raccordo fini a se stesse, non ci sono “telefonate” che storciono il naso, tutto è calcolato e funzionale sia all’intreccio che alla pura gag. La grande bravura di Enzo Barboni è proprio quella di non sfilacciare il film e di non appensantire un aspetto, tipo quello comico, a scapito di un altro, tipo quello narrativo. Un regista che saprà fare anche in futuro, sempre con la coppia o con solo uno dei due, grandi film di intrattenimento sano e pulito con anche una bravura artigiana non comune.

Le critiche, poche per la verità, sono mosse soprattutto dalla stampa di sinistra che non vedeva in questa puerile comicità nessun taglio sociale. Va detto invece, contro la miopia dell’intellighenzia intellettualistica, che proprio le gag stesse, senza discorsi dietro, erano e sono il segno di una presa di posizione picaresca che certo non ha nulla a che vedere con la riverenza alle istituzioni e alle consuetudini accettate. La scena al ristorante, con Franco Ressel capo cameriere, è per esempio puramente antiborghese. Non feroce tanto quanto l’incipit leoniano di Giù la Testa..., ma pur sempre chiaro e inequivocabile. Così come tornano innocenti, ma sempre con la loro indubbia incidenza intenzionale, le battute religiose che erroneamente Marco Giusti - tra tanti altri errori - inserisce nel primo Trinità - dove effettivamente ce ne sono altre celebri. É qui che i discorsi su dio e le ritualità cattoliche o protestanti, come mormone nel primo film, sono messe alla berlina senza un impianto accusatorio ideologizzato, bensì con la semplice comicità guittesca e anche surreale scelta da Barboni per iniziare questo nuovo filone e adottata in pieno dai suoi due massimi attori: il cinismo di Bud Spencer e la spavalderia canagliesca di Terence Hill restano infatti i caratteri maggiori dei loro personaggi lungo l’arco di tutta la carriera, oltre che ad essere i caratteri di tanto cinema popolare italiano. Purtroppo in epoca senile queste componenti che ce li hanno fatti amare sono state sostituite dai buonismi patinati e infruttuosi, buoni solo per il mercato omologato di oggi. Ma a noi non interessa, perchè Trinità e Bambino sono esistiti veramente, e i film di Barboni sono lì come documento per testimoniare che quel cinema c’è stato ed è possibile. Anche oggi.

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