Regia di John Guillermin vedi scheda film
Jack D. Hunter, scrittore, giornalista, reporter radiofonico, pianista, pittore, insegnante, spia: era daltonico, quindi non potè mai coronare il suo sogno di diventare pilota, ma compensò la sua passione giovanile per il mondo dell'aviazione (scatenata dalla visione di Ali, primo Oscar della storia del cinema, firmato da William A. Wellman nel 1927) concentrandosi negli studi. Imparò il tedesco per poter leggere in lingua originale le memorie di Manfred Von Richthofen, il Barone Rosso, conoscenza che gli tornò utile quando, durante e dopo la seconda guerra mondiale, venne reclutato dall'esercito americano e spedito proprio in Germania come spia. Poi, la carriera come scrittore (thriller, spionaggio, guerra), avviata proprio con questo The Blue Max (dal nome della più importante decorazione militare prussiana) alla base di La caduta delle aquile, scritto nel 1964 (sua la copertina originale della prima edizione del romanzo), che ne documenta il risultato più felice (primo di una trilogia con protagonista il suo personaggio più famoso, l'asso dell'aviazione Bruno Stachel, fu anche uno dei primi romanzi americani, divenuto subito un bestseller da oltre un milione di copie vendute, sulla prima guerra mondiale raccontata dal punto di vista di un tedesco). L'adattamento cinematografico, firmato da un nutrito pool di sceneggiatori (cinque, tra cui il palermitano Basilio Franchina, assistente alla regia per De Santis in Riso amaro e poi sceneggiatore, tra gli altri, di Roma ore 11, un paio di copioni insieme al Ben Barzman anch'esso coinvolto qui, ovvero La caduta dell'impero romano di Anthony Mann e L'attentato di Yves Boisset, fino alla sua ultima collaborazione, per Gostanza da Libbiano di Paolo Benvenuti), pur restituendone pathos e tensione, ne appiattisce spesso gli spunti più originali, lasciando impersonare sullo schermo il protagonista sui generis del romanzo di Hunter, un sottufficiale diciannovenne idealista ed alcolizzato, da un quasi quarantenne George Peppard, ribaltandone, tra l'altro, la sorte prevista per lui nel finale e concentrandosi essenzialmente sull'ambizione sfrenata del suo Bruno Starchel, sottufficiale di umili origini proletarie nella più aristocratica squadriglia aerea dell'aviazione tedesca: eroismo, coraggio, riscatto sociale, passioni travolgenti e morte per una commistione non del tutto riuscita tra war movie e melò, interamente affidata, nei suoi sviluppi drammaturgici, alle schermaglie tra Peppard, Jeremy Kemp (il suo avversario Willi von Klugermann), un impeccabile James Mason e la sempre radiosa Ursula Andress, oltre che alle stratosferiche evoluzioni aeree delle squadriglie di assi dell'aviazione. Girato in esterni in Irlanda, i cui verdi prati sterminati, però, mal si adattano ai paesaggi fangosi che invece caratterizzarono le sanguinose battaglie della guerra in trincea sul fronte occidentale, magistralmente fotografato da Douglas Slocombe (ma un doveroso plauso va attribuito anche al montatore Max Benedict), La caduta delle aquile deve proprio all'apparato spettacolare che sorregge il film, trionfando visivamente nei trapassi tra le travolgenti scene d'azione e i momenti più intimistici dell'introspezione psicologica, il motivo di maggior fascino: la regia di Guillermin, infatti, governa la vicenda senza particolari guizzi nell'ispirazione, affidandosi ciecamente, e con esiti sicuramente felici, alla maestria tecnica delle mirabolanti riprese aeree, alla cura delle scenografie, alle spettacolari sequenze delle battaglie in trincea, che sopperiscono alle movenze spesso monolitiche della sceneggiatura strappando il coinvolgimento dello spettatore.
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