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Opera

Regia di Dario Argento vedi scheda film

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La recensione su Opera

di alan smithee
7 stelle

Il Macbeth di Verdi è un capolavoro indiscusso, ma porta rogna... lo sanno tutti.

Come altro spiegare altrimenti i terribili e macabri eventi che si concentrano a dilaniare il normale concitato lavoro preparatorio che un ambizioso regista di cinema, concessosi per una volta ad una direzione teatrale, si appresta a compiere per portare a termine una sua avventura in ambito lirico, inerente appunto la direzione della nota trasposizione della tragedia shakeaspeariana?

La celebre cantante dell'Est coinvolta, una diva di spicco ma assai caratteriale e capricciosa, è contrariata dalle stravaganti scenografie, soprattutto a causa della presenza di grossi corvi veri che svolazzano sul palco e, iraconda di rabbia, nel fuggire da teatro, finisce sotto una macchina riportando una seria ferita alla gamba.

A sostituire il riottoso soprano, viene prescelta Betty, giovanissima ma talentuosa cantante che, suo malgrado, accetta e si prepara velocemente per la prima ormai imminente.

Succederà di tutto: una maschera del teatro verrà trovata uccisa, e tutti coloro che attorniano la ragazza risulteranno vittime di un folle assassino che li massacrerà sotto lo sguardo di Betty, costretta peraltro ad assistere alla mattanza in opera, a causa di un sadico strumento costituito da spilli attaccati alle palpebre della povera involontaria testimone da parte dello spietato e rancoroso assassino.

La verità, anche stavolta con Argento, la si trova non tanto con la logica di un ragionamento compiuto, quanto piuttosto soprattutto con metodologia matematica, avendo la pazienza di fare una conta dei superstiti al massacro man mano che il film procede verso il suo rocambolesco epilogo in territorio montano/alpestre in stile Heidi.

Da un soggetto dello stesso Argento, sviluppato attraverso una sceneggiatura spericolata ma guizzante, scritta a quattro mani dall'autore con Franco Ferrini, Opera spicca soprattutto per la suggestiva e suadente tecnica di regia, in cui la soggettiva dello sguardo dell'assassino o del personaggio preso in esame, finisce per coincidere con l'occhio dello spettatore, costretto a zigzagare nei dolly suadenti che l'agile direzione si prende cura di orchestrare con grande maestria ed innegabile tecnica di direzione.

Non mancano le bufale, i personaggi che spuntano come funghi senza il necessario apporto di scrittura, la solita scusa dei traumi infantili subiti dallo spietato autore dei massacri; ma sappiamo bene come furono devastanti (quasi) tutte le successive avventure cinematografiche di Argento, per poter affermare che Opera è senza dubbio l'ultimo film davvero convincente del celebre autore (soprattutto non considerando il successivo "Due occhi diabolici", buono soprattutto proprio nell'episodio di Argento, più che in quello ad opera di Romero, ma a tutti gli effetti un film ad episodi).

Cast decisamente sottotono (la parte da protagonista della giovane spagnola Cristina Marsillach, qui solo volenterosa e di bell'aspetto, avrebbe dovuto cascare su Giuliana De Sio, poi fuggita a gambe levate dal progetto), ma in cui è bello ritrovare tutti i fedeli collaboratori argentiani, da Daria Nicolodi ad un passo dal lungo addio (liquidata per l'occasione con una esecuzione esemplare ed indimenticabile), a Urbano Barberini, da Coralina Cataldi Tassoni a Barbara Cupisti, oltre all'altrove valido attore teatrale Ian Charleson, qui incupito e dall'aria distratta ed inutilmente assorta.

Efficaci le scenografie arricchite dalla sinistra e rumorosa presenza di corvi gracchianti e vendicativi, limitato ma di rilievo il ricorso ad effetti speciali, opera del fido Stivaletti, mentre per le musiche il maestro si affida, oltre che al più che collaudato Simonetti, spaziando dal rock furente di Brian Eno che scandisce appropriatamente i ritmi ossessivi di una furia omicida da massacro, ai pezzi classici più puri, non solo di Verdi, ma pure di Puccini e Bellini, creando uno stacco che fa bene alla pellicola nel suo insieme.

Opera appare dunque, nonostante le incertezze e le ingenuità anche caratteriali con cui vengono costruiti i personaggi (da sempre il tallone d'Achille più evidente della filmografia argentiana), un film ancora affascinante nel delirio omicida che accompagna la sconclusionata vicenda, divenendo, come accennato, il film che conclude il miglior periodo cinematografico del suo grande autore, da tempo purtroppo perduto ormai solo nel ricordo di questa sua prima esaltante stagione cinematografica durata circa un ventennio. 

 

 

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