Regia di Eric Rohmer vedi scheda film
Pierre Wesselrin è un omone dal carattere orgoglioso e ruggente che, credendosi erede di una colossale fortuna, brucia in poche ore le tappe tra euforia, megalomania e delirio d’onnipotenza. Poi, quando l’illusione si sgonfia, e lui si ritrova al verde, si riduce, come una trottola impazzita, a girovagare per un città che, mentre apparentemente lo respinge, in realtà lo tiene prigioniero. Costretto a fuggire dai debiti che va seminando lungo il cammino, si mette a sfogliare le pagine della propria vita, alla ricerca di qualche conoscenza del passato che gli dia una mano. Questo film è un “Manhattan by numbers” parigino, però più estremo e disperato, perché la “ville lumière” è troppo bella, allegra e sfarzosamente ricca - tanto che persino la miseria ha un che di civettuolo - e quindi non vi è, come a New York, la desolata umanità del ghetto in cui veder riflessa la propria infelicità. La morale è, in entrambi i film, sempre la stessa, anche se Amir Naderi la articola in maniera più chiara e più plausibile, e meno romanzesca.
Eric Rohmer traccia, nella figura del protagonista, un muto ritratto dell’emarginazione, e della fame come condizione permanente che altera, d’un tratto, drammaticamente, la visione della realtà circostante. La sua regia presenta già quell’impronta di realismo finemente elaborato, ricco d’inventiva e striato di venature artistiche che caratterizzerà la sua filmografia degli anni ottanta e novanta.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta