Regia di Edgar G. Ulmer vedi scheda film
Da ovest ad est, in macchina. Pause di riflessione al bancone di un locale. Una canzone, connessioni mentali, la voce interiore che parla, i ricordi e l’amore, un disco che gira.
Un uomo e una donna, una vecchia storia, fra tavoli ormai vuoti, le dita che si muovono sui tasti di un piano, il fumo di una sigaretta, la nebbia per le strade, un lampione e un angolo, si parla di matrimonio, la stessa vecchia storia di sempre.
Telefonate nella notte, fili e centraliniste.
Mappe stradali, viaggiare senza soldi, autostop e camminate, il pollice alzato e le attese.
Deserto, caldo, pensieri che evaporano.
In macchina, in silenzio. Dettagli di tre cicatrici su una mano. L’animale più pericoloso del mondo: una donna.
Gli incontri inaspettati, le vite dietro quegli incontri, i percorsi del pensiero, le aspettative per il futuro: lei canta vestita di lustrini tra le ombre oblique dei musicisti, la realtà: occhi stanchi racchiusi in uno specchietto retrovisore.
Una morte improvvisa, l’impronta del destino, le deviazioni del pensiero, una nuova identità, nel sogno vengono proiettate le immagini rimosse, il montaggio delle proprie colpe.
Il flusso della mente come forma narrativa, le continue domande, un impossibile incontro, la sorte come sceneggiatura.
Una stanza. Una donna stesa su un divano, un uomo alla finestra. Alcol e sigarette, per allentare la tensione. Finiscono le parole, diminuiscono le distanze. La seduzione. Una mano sulla spalla. Il rifiuto. Le porte che si chiudono.
La mente di una donna, le sue azioni e le sue parole. I piani. L’uomo ascolta. Ed esegue.
Una partita a carte, per uccidere il tempo, altre sigarette, altre bottiglie di liquori, i pensieri in gabbia, i giochi di potere.
Immagini sfuocate, una seconda morte, paura e isteria, i percorsi accelerati del pensiero, la chiusura di un cerchio narrativo, le dita del fato, il loro tocco, quante storie possibili, quante deviazioni ignote.
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