Regia di Fritz Lang vedi scheda film
La prima pietra miliare di Lang.
L’amore è il più crudele inganno perpetrato dalla Natura. Elargisce all’Uomo, per mezzo dei suoi sospiri, l’illusione di essere immortale; e nell’estremo momento del distacco, inocula infelicità come nient’altro. Dunque, la protagonista di Destino era condannata allo scacco fin dal principio: non capisce che qualcosa di più grande del suo amore terreno è venuto a bussare alla porta. Noi lo sappiamo perfettamente, che perderà la sua sfida; tuttavia decidiamo di assistere, implacabili, complici della rovina, alla disfatta dell’eroina e delle sue alter ego. Il cinema di Lang è talmente aereo e superiore da valicare le sue intrinseche inesorabilità; la sua forma ammalia, le sue dualità irriducibili ci fanno tanto più convinti e coscienti del nostro essere umani. Nella caravaggesca guerra fra le poche luci e le tante ombre di Destino, sembrano prevalere alfine le ombre della Morte. Eppure Lang sul finale si permette di concedere quasi una speranza all'uomo. È vero, la Morte ha giurisdizione su tutto quanto vi è di fisico. Niente di materiale sfugge al suo occhio onnisciente e al suo ubiquo braccio: l'uomo, gli animali, le piante, ma anche i mari, i continenti, i pianeti, le stelle. Tuttavia, ciò che è incorporeo, e buono, e bello, come l'amore, nemmeno Thánatos lo può piegare. I due amanti, ormai ridotti a spettri, s'avviano verso un prato fiorito, insieme, al di là della vita e della morte, in un'immagine di dolcissima poesia. Le loro spoglie mortali sono ormai assoggettate all’inevitabile corruzione della natura, certo; e nonostante ciò, un'eco flebile ma chiarissima del loro sentimento troverà infine la strada per risalire dall’oblio, inattaccabile ed eterna.
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