Regia di Pedro Almodóvar vedi scheda film
Dalla volta in cui vidi "Donne sull'orlo di una crisi di nervi" ho seguito con discreta costanza le gesta artistiche di Pedro Almodovar, tuttavia mi è sempre mancata la filmografia precedente il suo primo grande successo internazionale. Così ho deciso di riempire, un po' alla volta, questa lacuna iniziando da "Che cosa ho fatto io per meritare questo?". E devo dire che la suddetta pellicola è stata una rivelazione nella sua capacità di descrivere la società spagnola. Quando uscì nei cinema nell'ottobre del 1984 il paese iberico si era da tempo liberato di Francisco Franco, anche se il successivo tumultuoso periodo di transizione, che inizio piu' o meno alla morte del Caudillo nel '75 per terminare con le elezioni democratiche dell'82, si era appena concluso, non senza scossoni. Immagino perciò l'urgenza di riappropriarsi di una libertà di espressione soffocata negli anni della dittatura e che solo la "Movida" degli anni '70 aveva in qualche modo tenuto in vita al riparo dalla censura franchista.
Pedro Almodovar era uno di quegli artisti che animò con il suo cinema il circuito underground madrileno, e che una volta caduto il regime uscì allo scoperto con le sue pellicole eccessive e al limite del kitsch. Ecco dunque spiegata la forte connotazione politica e civile di questa pellicola che finge di raccontarci un "interno di famiglia" per evidenziare, invece, tutte le storture di una società vissuta nella bolla di un'etica di regime bigotta e cattolico/conservatrice.
Una storia dai connotati grotteschi che Almodovar gira con feroce ironia senza però accanirsi sui propri personaggi che assumono una valenza simbolica all'interno della rappresentazione scenica. Ognuno dei protagonisti rappresenta qualcosa o qualcuno. Antonio, che non esita a prendersi una sveltina e a picchiare la moglie quando gli gira, mentre anela la vecchia amante tedesca (la Germania nazifascista?), sembra scolpito sulla figura del Generalísimo Franco che soverchia una Spagna servile ed esausta, qui nelle sembianze di una moglie, Gloria, fiaccata dall'umile lavoro e dalle ristrettezze economiche che il marito le impone. Intorno a loro il mal costume, che la morale franchista credeva di aver debellato, in realtà è proliferato più di prima trovando nell'establishment il proprio terreno fertile: il figlio più grande spaccia droga ai ricchi mentre l'altro soddisfa adulti pederasti. Il dentista incarna i vizi di una borghesia perbenista che in realtà nasconde sordidi comportamenti, al pari dello scrittore senza scrupoli e della propria moglie cleptomane che cercano di arraffare soldi con la stessa disinvoltura di certa classa politica di cui il regime si è circondato.
In questo eccentrico bailamme c'è spazio anche per il desiderio di restaurazione monarchica (la nonna che vuol tornare al paese) e per la moralità bigotta (l'insopportabile vicina Juani) che hanno legittimato il potere imbavagliando i giovani talenti (la bimba Vanessa dotata di poteri soprannaturali ne è l'esempio).
Almodovar non risparmia neanche la giustizia rappresentata da un ispettore/samurai sessualmente impotente e dai suoi insulsi tirapiedi. Ma intendiamoci, Almodovar è tutt'altro che pessimista. L'amore ed il sesso che la dolce ed ingenua Cristal profonde con leggerezza ai coinquilini come ai clienti paganti, e la fine della "dittatura" famigliare garantiranno a Gloria un nuovo e speranzoso inizio, di cui il ramarro "Denaro" rappresenta il simbolo. Un simbolo di risveglio dal torpore del vizio e di un amore mal riposto.
Un Almodovar non ancora concentrato sulle travolgenti emozioni e passioni dei propri amati personaggi, che hanno decretato il successo internazionale dei suoi lavori, ma un Almodovar che in modo arguto descrive i problemi epocali del proprio paese mostrandoci il suo talento sopraffino. Forse più provinciale e con un respiro internazionale minore. Ma poi è un difetto?
TIMVISION
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