Regia di Luigi Chiarini vedi scheda film
E’ l'opera più importante della breve carriera registica di Chiarini, perfetta per evidenziare la particolare idea di cinema coltivata da questo importante teorico della settima arte che qui ci fornisce un saggio su come sia possibile dare uno sguardo sul sociale pur con modalità che privilegiano il cosiddetto naturalismo fantasioso dell’insieme.
Sicuramente l'opera più importante della carriera registica di Luigi Chiarini... un teorico intelligente e arguto passato all'azione pratica della messa in scena per rappresentare meglio la sua personale "visione di cinema". Questo è il suo secondo film, e ancora una volta trae spunto da un testo preesistente (il realismo di Matilde Serao per il suo debutto; la tragedia paesana - ampiamente rimaneggiata - del dramma di Rosso di San Secondo per questo "La bella addormentata"). La storia è a fosche tinte e narra di una giovane orfana che viene sedotta dal notaio presso il quale presta servizio. Sarà l'inizio di un calvario che la porterà vicino alla prostituzione, se non arrivasse in suo aiuto il "Nero della zolfara" (ovvero l'eroe "positivo" del racconto) un amico del padre della ragazza, soprannominato così perchè lavora appunto in una miniera di zolfo. Ma come sempre accade in queste circostanze, non tutto filerà nella maniera dovuta: l'uomo tenterà di ricomporre la relazione fra il notaio e la ragazza e riuscirà perfino a combinarne le nozze, ma senza rendersi conto che invece il cuore della donna palpita per lui... così il giorno fissato per riparare il "torto" (quello delle nozze insomma) si innescherà la miccia che farà scoppiare il "dramma" . Una vera e propria tragedia degli equivoci, insomma che avrà conseguenze decisamente poco confortanti. Ma non sono i fatti narrati ad essere prioritari, bensì le modalità del raccontare utilizzate dal regista, che se all'atto pratico non riesce ad applicare fino in fondo il rigore teorico che esprimeva nella sua qualità di direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, rimane comunque molto lontano dagli stilemi del periodo, fornendoci una indubbia lezione di coerenza.e di stile. Nion ci sono concessioni al gusto dozzinale dell'effetto fine a se stesso, insomma: ogni inquadratura è studiata con meticolosa precisione, il "melodramma" è fin troppo trattenuto, imbrigliato in una confezione raffinata, quasi "raggelante" che sfiora il calligrafismo, che ci fa "osservare" anzichè "partecipare" direttamente (che è poi la maniera migliore per prendere le necessarie distanze da una materia così incandescente e arrivare con più aderenza a una riflessione che ci porti ad analizzare criticamente gli avvenimenti che ci vengono rappresentati). Chiarini è aiutato in questo da una sceneggiatura altrettanto rigorosa e un pò "ingombrante" (collaborarono con lui alla stesura Vitaliano Brancati e Umberto Barbaro) che sfronda il testo da quei cascami un pò retorici che aleggiano pesanti proprio nella scrittura fortemente aulica di Rosso di San Secondo (quasi un Pirandello in sedicesima, privo della forza innovativa e a suo modo rivoluzionaria, di quest'ultimo).Quindi potremmo considerare "La bella addormentata" un onesto tentativo di raccontare "un'idea di cinema", condotto con un vigore e una invidiabile "necessità dimostrativa" che consente di percepire anche praticamente la "teorizzazione" del progetto. La messa in scena è meticolosa e attenta, la direzione degli attori straordinariamente accurata, con una specifica attenzione proprio alle parti di contorno, qui tutt'altro che marginali (giustamente il Mereghetti cita al riguardo i felici risultati nella definizione del personaggio della zia del notaio, splendidamente rappresentata dall'ottima Teresa Franchini) e un "quadro generale" (lo sfondo è un paesino della Sicilia) che permette letture oltre il "naturalismo fantasioso" dell'insieme, tanto che si potrebbe azzardare persino una interpretazione in chiave sociale, che connoti il dramma quasi come uno "scontro classista" che vede fronteggiarsi borghesia e proletariato (e mette in evidenza la posizione subalterna della donna). Chiarini si avvarrà, per i ruoli principali contrapposti, della fruttuosa collaborazione dei due "divi" dannati dell'epoca (nel 1942 erano ancora sulla cresta dell'onda) così strettamente e perversamente legati al fascismo da esserne poi travolti a loro volta quando tutto precipiterà verso la debacle conclusiva (vedi "Sanguepazzo" di Giordana, per chi volesse meglio docomentarsi al riguardo). Mi riferisco a Luisa Ferida qui inusualmente (e felicemente) utilizzata per un ruolo pieno di palpitazioni interiori, molto lontano dal clichè aggressivo che le era stato solitamente cucito addosso. E' lei (il suo "vagare incerto") che definisce esattamente l'anima "del progetto registico " . Ed è allora la sua presenza quasi trasognata che attraversa tutta l'opera quella che rimane uno degli elementi fortemente innovativi per il quale il fim stesso merita forse ancora oggi di essere ricordato per "fare storia". Accanto a lei, come era inevitabile in quegli anni, Osvaldo Valenti (il notiaio) a sua volta duttile e acuto e meno di maniera del solito. Il positivismo a oltranza del "Nero della zolfara" è invece affidato (un'altra prassi consolidata del periodo) alla presenza monolitica e rassicurante di Amedeo Nazzari.
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