Regia di Barbet Schroeder vedi scheda film
Tappi nelle orecchie, mascherine sugli occhi per proteggersi dalla luce, e fisico pieno di un mix composto da sigarette, alcolici e farmaci. I ricchi di Newport, Rhode Island (a due passi da Boston), si annoiano così, abitando ville grandissime e lussuose, anonimi tra la sfilza di tenute che si affacciano sul mare. Ispirate a una storia vera, le vicende della pellicola vengono introdotte da una voce off, quella di Sunny von Bulow (Glenn Close), che giace in coma irreversibile in un letto di ospedale dal Natale del 1980 (l’ereditiera è morta nel dicembre del 2008, nda).
Com’è finita lì? Qual è stata la vera causa che ha determinato la perdita di coscienza? Omicidio o suicidio? Sospetti e apprensioni aleggiano tra la cameriera della signora, i figli, e il marito Claus von Bulow (Jeremy Irons). Quest’ultimo venne accusato di aver tentato di uccidere la consorte con un’iniezione di insulina e nell’82 fu riconosciuto colpevole. Claus cercò di sovvertire il giudizio della giuria con l’aiuto di uno spiantato avvocato, il quale iniziò una ricerca che lo portò ad avere sempre maggiori dubbi sulla colpevolezza del suo cliente e lo convinse a presentarsi in appello.
Nato sotto l’ala protettiva della produzione di Oliver Stone, nominato a tre premi Oscar per la Migliore Regia (Barbet Schroeder), il Miglior Attore Protagonista e la Sceneggiatura non Originale (Nicholas Kazan), il film vinse un unico premio per la bella interpretazione distaccata e ambigua di Jeremy Irons. Nonostante la sua condizione di vegetale per buona parte del film, Glenn Close dette una prova stupefacente di donna claudicante, gelosa, possessiva, quasi mai indulgente, più spesso irosa e depressa quando, tra le grandissime stanze della magnifica residenza di proprietà, passeggiava tra gli ampi corridoi, riposava sui sofà, e intavolava schiette discussioni col marito.
Nel cast anche una giovanissima Felicity Huffman, studentessa che tentò di non conformarsi ai principi che di solito fanno “una buona avvocatura”. Molto “americano” è l’ideale dell’appassionato di basket e legale Dershowitz (l’energico Ron Silver), anche professore di Harvard, il quale si circondò di studenti collaboratori che misero in pratica la loro preparazione con un apprendistato sul campo. Un’attività normalissima negli Stati Uniti, quasi sempre aliena qui da noi, dove si preferisce far passare i freschi laureati attraverso vari periodi di vergognosa speculazione. Dershowitz spronò gli allievi affinchè potessero farsi un’idea autonoma degli accadimenti, dando il maggior spazio possibile al contraddittorio; una delle regole basilari per chi vuole affrontare questa difficile professione.
Uscito tra “Sotto accusa” e “Codice d’onore”, “Reversal of fortune” è un thriller drammatico del cosiddetto filone giudiziario, che tanto successo ha portato ai botteghini hollywoodiani e non. Accurato e glaciale come i costumi della bravissima Milena Canonero, quello che più avvince della storia è la sua singolare ricostruzione: senza ricorrere a flashback plateali o a grossolane sottolineature, facendo sfoggio di un ritmo pigro ma essenziale, di intermezzi loquaci e illuminanti, lo scritto si insinua dolcemente nello spettatore provocando una non banale riflessione su ciò che è vero e ciò che è falso, sul senso della giustizia, sul potere del denaro (lo spietato rammarico degli agi) e quello della devozione, sull’amore per interesse e sull’amore puro (ammesso che esista). Puzzle ponderato di vicende intrecciate, scompone l’abituale drammaturgia “da tribunale” in un’intensa, altezzosa riproduzione da camera, tra il tipico aspetto giuridico e il seducente appeal della coppia nevrotica sull’orlo della rovina.
Irrimediabilmente segnate da un connotato politico e sociologico, le vicende dei von Bulow furono oggetto di accesi dibattimenti giornalistici e gossippari. In un’epoca nella quale si dava alta credibilità agli organi di informazione, i quotidiani divennero il terreno per formazioni ideologiche che tennero l’intera America con il fiato sospeso. Erano giorni ancora abbastanza liberi da poter estrapolare dai notiziari alcune verità assolute. Quelle che oggi abbisognano di incerte e autonome verifiche .
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